Recensione: Above the Buried Cry
Paul Masvidal e Sean Reinert sono due nomi che hanno rappresentato qualcosa di importante in ambito metal? La domanda più giusta è forse se questi due personaggi hanno significativamente compreso cosa voglia dire fare musica. In quest’ultimo caso allora la risposta affermativa trova giusta replica. Al di là di quello che possono essere stati i vari Human del compianto Chuck o il superlativo progetto Cynic con Focus, professionalità e doti tecniche al servizio della musica sono le loro grandi scommesse vinte nella vita professionale. Certo Above the Buried Cry non è niente di ciò che è stato e che quasi tutti conoscono e dovrebbero conoscere, perché per fortuna l’arte pura è spesso un valore svincolato dagli schemi. E’ difficile trovare dei punti di riferimento in band attuali, come è impossibile descrivere tecnicamente la musica, poiché si ha a che fare con un’essenziale e precisa esecuzione, ma nulla di trascendentale. Se proprio si volesse menzionare un abbinamento affine a un simile stile si dovrebbe citare il binomio Radiohead e Porcupine Tree, ma pure i più romantici Coldplay. Dovendo “etichettare” il genere potremmo quindi parlare di Emotional Alternative Rock anche perché il richiamo ad un termine diverso da emozionale non potrebbe rendere l’effetto profondo e denso che la musica del quartetto riesce a trasmettere.
Paul Masvidal, Sean Reinert (facente parte anche del progetto Gordian Knot del bassista Sean Malone), Evo e Stephen Gambina costruiscono attraverso la semplicità espressiva le strutture più difficili che si possano immaginare perché la ricerca delle stesse ha come obiettivo le corde sensibili che ognuno di noi ha dentro.
L’avvicinamento all’anima è palesemente proposto attraverso un delicato meccanismo di catapulta emozionale. Le canzoni sono infatti nate attraverso l’esperienza estrema del contatto del singer con malati terminali e la sua bravura è stata proprio quella di riequilibrare l’estremo della vita con una proposta dolce e raffinata. Melodie ricercate e coinvolgenti, disarmanti dettagli sonori, un cantato tranquillo e rilassato nella sua esecuzione, nessun dinamismo eccessivo, ma una proposta di pacifici paesaggi carichi di pace e poesia.
Si apre con le riecheggianti atmosfere di un tempo che No Answer propone e che vi porteranno ad apprezzare le piccole cose, senza tante domande o risposte senza la necessità di avere niente in mano per apprezzare liberamente la musica che state sentendo…un aiuto vero per un attimo di relax personale.
Da pelle d’oca Pablo at The Park, le linee vocali sono un tutt’uno con il bellissimo testo della canzone di cui non voglio anticiparvi nulla, la musica è un collage di armonie amalgamate alla tiepida atmosfera di un Rock che ha davvero tanto da dire. Suicide Boyè una song dagli arrangiamenti deviati rispetto il songwriting e l’idea dell’intero platter. Un urlo fuori dal coro che si realizza in questa song dal sapore velenoso ed acido, distorta nell’estrema ed incosciente “liberazione-libertà” che racconta. Grace è invece l’esatto opposto della precedente; una canzone estremamente malinconica che trascina a se l’anima su ritmiche da carillon ed echi toccanti a dipingere un’ambientazione d’altro mondo a contrapposizione di quello carico di sofferenza che ci caratterizza.
Silence si presenta compatta, carica di pathos, nuovamente l’opposto del silenzio; e mentre assapori l’incongreuza poetica si spalanca una porta immensa a lasciar passare l’inspiegabile Emmanuel, punta di diamante fatta passione, ma impalpabile e difficilissima da spiegare a parole; lo stesso Masvidal in una intervista disse testuali parole “Lo spirito di Emmanuel sembra uscire dalla canzone ‘Emmanuel’, quando la suoniamo lo sento spesso dentro questa canzone. A volte non sono sicuro da dove provenga la musica che sto scrivendo“. Face The Wind mantiene per tutta la durata una forza onirica ed energica contro le dolenti sferzate del naturale destino, ma non per questo è caratterizzata da un accanimento sonoro. La proposta è invece molto contenuta e determinata a dimostrare quanto importante sia galleggiare nella speranza della vita. Speranza che viene ripresa ai livelli superiori di For Good, un capolavoro intriso di un’anima incorniciata di speranza, priva di malumore, di suoni sgradevoli e di ruvidità con lo scopo incredibilmente riuscito di trasformare il dolore in bene. Tentativo riuscito anche grazie alla magica esecuzione del quartetto. Malinconica, trasparente a tratti e gridata nella sua stridulità perché cercante di esprimere cosa possa rappresentare il niente non è per niente facile. Allora Nothingè questo, l’incapacità reale di lottare perché nulla si crede di poter lasciare e la buia, densa e fredda atmosfera spegne ormai la luce, i ritmi si fanno sempre più serrati dalle ultime intense energie fino al niente. Yellowman, gli angeli bruciano una torcia per scaldarci; il calore dell’ispirazione diretto al cuore, una poesia; freccie pronte a fare breccia; suoni indirizzati alla triste e dolce malinconia che attraverso un delicato songwriting entrano direttamente sotto cute e piano piano si insinuano nella vitalità dell’anima dell’ascoltatore. Adrenalina per il cuore, intorpidimento dei sensi e mescolanza di pensieri d’una sensazione in cui è necessario soltanto lasciarsi andare con lo scopo di camminare leggeri in un universo parallelo tanto vicino alla vita da materializzarsi appena qui, vicino a noi.
Certo, mi ripeto, recensire un disco del genere è davvero difficile perché nessuno potrà mai raccontarvelo a parole, tantomeno io, ma dimostra essenzialmente due cose fondamentali: la musica non è etichettabile, e nemmeno gli autori veri che la concepiscono. Se poi questi autori sono autori con la A maiuscola e se tale musica nasce dall’esperienza reale del contatto con persone terminali allora il mix che ne esce è qualcosa di unico ed indescrivibile perché gli ingredienti da cui nasce sono gli estremi dell’esistenza: la vita, la sofferenza, la morte. Questi ragazzi hanno fatto un lavoro straordinario. Vi lascio con una frase espressa da Masvidal. Buon ascolto di cuore.
“La musica porta in sé energia, quindi sì, emozioni e vibrazioni permeano le cellule della musica e del suono. Tutto sta nel come arrangiamo le note e le sculture soniche che creiamo. La musica mi ha trasformato e curato. È dove riesco ad abbandonare tutto, dove sono maggiormente vulnerabile. Mi ha aiutato ad avere meno paura di vivere.”
Nicola Furlan
Tracklist:
01- No Answers
02- Pablo at The Park
03- Suicide Boy
04- Grace
05- Silence
06- Emmanuel
07- Face the Wind
08- For Good
09- Nothing
10- Yellowman