Recensione: Absentia
Band relativamente giovane, quella degli Aethereus. Nati negli States nel 2014, hanno all’attivo solamente un EP (“Ego Futurus”, 2015) e, finalmente, il tanto agognato full-length di debutto, “Absentia”.
Una discografia così scarna non deve tuttavia ingannare: gli Aethereus macinano technical death metal ai massimi livelli qualitativi, avendo un sound completamente formato, adulto e perfettamente allineato alle migliori realtà che bazzicano una foggia musicale dalle coordinate stilistiche così complesse.
È bene subito osservare che essi non cadono nella trappola dell’autocelebrazione fine a se sessa, figlia di una bravura fuori dal normale. Al contrario, “Absentia” è un contenitore di canzoni… che davvero sono canzoni. Niente voli pindarici verso lidi pregni di tecnicismi puri ma freddi e glaciali. Invece, un’attinenza con la realtà di coloro che pattugliano le rarefatte atmosfere ove albergano sia una capacità di esecuzione perfetta, sia il talento compositivo che, come si sa, o si ha o non si ha.
I Nostri ce l’hanno, è questa è una gradita sorpresa. La quale nasce già dall’ascolto dell’opener-track ‘Cascades of Light’. L’intro strumentale, dal notevole effetto visionario – complici azzeccate e poderose orchestrazioni (sic!, ‘Mortal Abrogation’ e ‘With You, I Walk’) – prepara i bagagli per uno splendido viaggio a cavallo delle ondate di death metal che, come un oceano in tempesta, travolgono l’etere in virtù di una potenza di fuoco assai elevata.
Anche se impegnati ad abbellire la propria musica con dorati orpelli solistici della sei corde, il sound possiede una pienezza più che soddisfacente, frutto di una produzione scevra da critiche, ma sopratutto grazie alla capacità degli Aethereus di essere sul serio una band e non un insieme slegato di singoli esecutori che svolgono il loro compito slegati dal contesto generale.
Allora, emerge con forza una destrezza del songwriting assolutamente rara nel campo del ridetto technical death metal, volta a scrivere brani dotati di una profondità emotiva notevole, presentanti break ambient in grado di formare un insieme, oltre che interessante, coinvolgente: a tutti gli effetti si tratta di una virtù rara a livello generale, ancor di più valida nel campo del genere di cui trattasi.
Più che buona l’idea, certamente non originale ma efficace se realizzata correttamente, di affiancare all’aggressivo growling di Vance Bratcher lo screaming disperato del chitarrista Kyle Chapman. Con ciò, arricchendo e movimentando linee vocali altrimenti monocordi. Chapman che, assieme a Benjamin Gassman, forma una coppia dalla qualità eccellente, capace di alimentare le dimensioni spaziali di un muro di suono enorme, sul quale si possono immaginare riprodotti delicati disegni ed eteree creature mitologiche. Ovviamente preparatissima la sezione ritmica, con un basso che – finalmente – non invade e disturba le varie tracce con inutili scariche di note ma l’accompagna nel suo cammino. Eccezionale il drumming Matt Behner, anch’esso mai fuori dalle righe, nemmeno quando saettano i blast-beats che, correttamente, non inficiano sulla potenza complessiva del sound.
Non occorre nemmeno scervellarsi, per osservare le bellezze di un disco al top nella categoria technical death metal 2018, giacché tutti i brani presentano elementi accattivanti oltre a una buona dose di melodica che addolcisce gli spigoli di una tipologia musicale a volte troppo rigida e scontrosa. Ideale complemento di una realizzazione in grado di essere apprezzata da tutti, e non solo dai fan del genere.
Bravissimi!
Daniele “dani66” D’Adamo