Recensione: Absolute Elsewhere
Chi ha molte idee deve osare e sperimentare. Non deve fermarsi all’ordinario né adagiarsi nella comfort zone della “soluzione che funziona”, ma dare libera espressione a ciò che desidera creare, senza preoccuparsi troppo delle aspettative dei fan più intransigenti o delle critiche, più o meno feroci, che potrebbero arrivare, haters compresi. Quando i Blood Incantation hanno pubblicato “Timewave Zero” nel 2022, era chiaro che ci trovavamo di fronte a una band di musicisti non solo abili, ma anche estremamente creativi, come quelle che gli Dei della musica ci donano di tanto in tanto. Ricordo il primo pensiero che ebbi ascoltando quel disco ambient, tanto discusso: “Questi faranno come gli Opeth o i Mastodon… e molti altri. Scommetto che il prossimo album sarà un mix tra vecchio e nuovo”. Ed eccoci qui.
Chiariamo subito che “vecchio e nuovo” non va inteso come un collage inorganico di elementi compositivi. Va invece considerato come il continuum dell’anima primigenia della band, arricchito dagli spunti e dalle ispirazioni nate nel tempo, probabilmente per esigenze personali dei membri o per il contatto con realtà musicali non necessariamente metal. Questo può essere anche semplicemente il frutto del cambiamento di gusto che avviene con l’età.
Dopo due dischi grandiosi, “Starspawn” (2016) e “Hidden History of the Human Race” (2019) — un vero capolavoro — e dopo il già citato “Timewave Zero”, il quartetto di Denver torna con “Absolute Elsewhere”. Qui, la band non rinuncia ai temi lirici che li hanno sempre caratterizzati e si evolve ulteriormente sul piano musicale.
Con questo nuovo capitolo, i Blood Incantation si immergono nei loro amati temi cosmici ed esistenziali, esplorando in particolare la relazione tra l’origine dell’universo e dell’umanità. Confermano così il loro ruolo di precursori di una certa concezione del technical death metal, seguendo le orme di band come Atheist, Pestilence, Nocturnus e Cynic, che negli anni Novanta avevano iniziato a percorrere questa strada, pur continuando ad alimentare l’attuale corrente che vede band come Nucleus, Lunar Chamber o Miscreance portabandiera di questa evoluta visione dell’estremo.
Musicalmente, la loro matrice rimane quella del death metal tecnico e progressivo, profondo e dai suoni criptici ed incombenti, che qui però trova una fusione con gli elementi più ambientali e atmosferici esplorati in “Timewave Zero”. I brani alternano momenti lenti, quasi ambient, a esplosioni feroci che ricordano i Pestilence e i Morbid Angel più inca**ati. Il tutto è legato in modo molto equilibrato da soluzioni tipiche del progressive rock e neoprog, con richiami folk, che garantiscono una transizione fluida tra i diversi stati d’animo che caratterizzano l’album. Non mancano, naturalmente, i sintetizzatori, che aggiungono profondità alle atmosfere acide, psichedeliche e fredde a cui il quartetto ci ha già abituati, soprattutto in “Hidden History of the Human Race”.
Ascoltare questa musica, che oscilla tra l’estremo e il rilassato, tra suoni acidi e delicati, crea un’esperienza complessa ed evocativa. È come essere trasportati tra due mondi, con l’adrenalina primordiale che ti scuote, spinta da un vortice di forze cosmiche e potenti. Il loro death metal così personale ha un sapore freddo e criptico, degno dei migliori interpreti del genere. Tuttavia, il carattere schizoide della composizione non risulta pesante, ma scorre via fluido, una sorta di “easy listening strutturato”, ormai marchio di fabbrica di una delle band più interessanti dell’intero panorama del metal estremo internazionale. Quando la musica rallenta e diventa più ambientale e magica, ci si ritrova immersi in uno spazio profondo, lontano dalla realtà. I suoni delicati e ariosi cullano l’ascoltatore in una dimensione riflessiva e contemplativa, dove il tempo sembra rallentare (richiamando l’EP precedente). Qui la band riesce a creare uno spazio ovattato, lasciando spazio alla riflessione esistenziale sulle origini dell’universo e la possibilità di vita aliena. Stupendi anche gli intermezzi tribali e folk dal sapore mediorientale, che richiamano esplicitamente “The Giza Power Plant” (un evidente collegamento a “Hidden History of the Human Race”).
Insomma, i Blood Incantation ce l’hanno fatta di nuovo. Con “Absolute Elsewhere”, hanno creato musica che passa dalla tensione alla calma, dalla brutalità alla meraviglia, in un continuo alternarsi che stimola mente, sensi e visioni. Sono riconoscibili, coerenti, evolutivi, profondi e mai ripetitivi. Il loro sound lo riconosci all’istante. Oggi più che mai, per chi li ha seguiti, questo nuovo capitolo suona come dovrebbe suonare un loro nuovo disco: la naturale evoluzione delle loro abilità e del loro modo di esprimersi in musica. Qualcuno potrebbe appuntare una certa disomogeneità nei passaggi di stile comunicativo. Altri potrebbero dire… fare prog-rock è un’altra cosa. Altri ancora, già schifati dal cambiamento di rotta apparentemente irreversibile di “Timewave Zero”, potrebbero ritenere che siano diventati patetici, venduti o cose simili.
Il mio parere è invece questo: sono geniali, coraggiosi, evolutivi, avanti a tutti, confermandosi una delle band più interessanti e abili dell’intero panorama della musica estrema (percezione che, comunque, mi porto dietro sin dal loro esordio). Sebbene possa pensare che qualche loro idea messa in musica non incontri proprio il mio gusto e anche suoni un po’ ‘strana e incoerente’, non me la sento di evidenziare punti deboli in questo album. La loro evoluzione attuale mi affascina troppo. Apprezzo troppo cosa sta succedendo in casa Blood Incantation e non vedo già l’ora di vedere dove andranno a parere col prossimo disco!
Siate pronti ad immergervi in un vero “Absolute Elsewhere”, a farvi trasportare in un viaggio interstellare e musicale, attraverso l’esplorazione di galassie lontane e dimensioni sconosciute e a soffrire un senso di soggezione di fronte all’immensità del cosmo. In attesa del prossimo disco: chapeau!