Recensione: Absorbing The Disarray
Grandi manovre per i Visceral Bleeding, una
delle sorprese brutal in passato, una consolidata realtà oggigiorno: proprio
perché ormai conosciuti alla maggioranza del pubblico brutal dovevano andare
oltre ai due ottimi predecessori, cercando di ottenere un risultato solido,
ancora più avvincente e allo stesso tempo fedele ai canoni che loro, dal brutal
floridiano, hanno saputo mutuare con classe.
Cos’è cambiato quindi nel loro sound? Praticamente
nulla. Nulla è cambiato, per la precisione, ma tutto si è affinato: il loro
stile oggi è ancora più brutale ma soprattutto è implacabile, preciso
all’eccesso, tecnico in modo soffocante; e badate, l’aggettivo non è usato a
caso, visto che mai come oggi, nelle loro strutture intricate, per quanto
velocissime, si odono echi della band di New York, soprattutto per quanto
riguarda il lavoro di batteria del mostruoso Tobias Persson. Le canzoni
dei Visceral, su Absorbing the Disarray, raggiungono un tasso
tecnico davvero invidiabile, e ormai da questo punto di vista i nostri superano
anche i connazionali Spawn Of Possession in quella che è sempre sembrata
essere un’amichevole “gara” verso il trono del nuovo brutal
svedese; la loro formula è però decisamente più quadrata, compatta, attenta
al lato brutale del loro sound e meno a quello progressivo, che quasi scompare
nel violentissimo rifferama.
La ricetta Cannibal Corpse è ovviamente alla
base del loro impasto, così come alcune soluzioni tipiche (su tutte i classici
feedback di chitarra), ma questi svedesi sono ormai abbastanza maturi da
plasmare la materia a loro piacimento, riuscendo a suonare decisamente personali
agli orecchi dell’ascoltatore. La scelta di puntare tutto su velocità e tecnica
inoltre premia uno stile non immediatamente assimilabile, e ci mancherebbe anche
altro visti i presupposti, ma longevo e allo stesso tempo di grandissimo
impatto; i giochetti di produzione, le sovraincisioni vocali e gli arrangiamenti
di chitarra, così come lo svolgersi delle trame sonore, sono da scoprire con
ascolti attenti e approfonditi, e rivelano sempre qualcosa di nuovo e, per una
volta nel genere, non sterilmente fotocopiato.
Il growl di Martin Pedersen non è mai troppo
profondo e gutturale, anzi, si mantiene su coordinate quasi brutalcore, con
Jason Netherton dei (vecchi) Misery Index come prima influenza, e questo serve a
snellire un muro di frequenze che altrimenti rischierebbe di saturarsi troppo e
di risultare eccessivamente “pieno” (alla Broken Hope, per
intenderci), soffocando le soluzioni melodiche – prendete questo termine in
senso tecnico – che la coppia di chitarristi riesce ad inserire nei pezzi.
Ottimi anche i rari momenti in cui la band si vota al cadenzato spaccacollo, di
solito prima di strofe da assalto all’arma bianca come quella di Rip The Flesh,
isterica e letteralmente brutale: la migliore dell’album.
Un disco che evita le ovvietà senza per questo
cercare la bizzarria, questo è Absorbing the Disarray: chi cerca
una classicità non banale può tranquillamente cercarlo nel suo mailorder di
fiducia, facendo attenzione a quella leggera freddezza che rappresenta l’unica,
ma davvero lieve, pecca di questo album; e a tutti un consiglio: non
sottovalutateli, con spinte promozionali maggiori questi ragazzi dominerebbero
la scena “old style”.
Alberto Fittarelli
Tracklist:
1. Bi-polar 00:53
2. Disgust the Vile 04:13
3. Despise Defined 03:11
4. Perpetual Torment Commence 03:37
5. Emulated Sense: Failure 03:13
6. Rip the Flesh 04:00
7. Absorbing the Disarray
04:30
8. Awakened by Blood 03:54
9. Beyond the Realms of Reason 03:47
10. Bring forth the Bedlam 03:00
11. Demise of the one that Conquered 05:12