Recensione: Abysmal Ascent
Nella ridda di act che pascolano sui neri prati del metal estremo cercando soluzioni innovative se non addirittura rivoluzionarie per emergere dalla massa, si trovano ancora quelli che restano ancorati come cozze allo scoglio al death metal classico.
Fra di essi, ci sono gli Amputate che, con “Abysmal Ascent”, raggiungono il traguardo del terzo album in carriera. Una carriera cominciata in Portogallo nel 2011 con relativo, successivo spostamento nei pendii, stavolta verdi, della Svizzera.
Una volta dato atto che i temi non siano il massimo dell’originalità, trattando difatti trite e ritrite storie di torture, smembramenti, macellazioni, putrefazioni e chi ne ha più ne metta, si può passare alla musica.
Che, andando controcorrente alla massa, è suonata rigorosamente senza alcun aiuto da parte dell’Intelligenza Artificiale. Suonata alla vecchia maniera: con il microfono davanti agli amplificatori et similia, per comprendere bene il concetto. Giungendo così a una sorta di true death metal. Brutale, violento, aggressivo ma anche ricco di passaggi dalle tinte fosche, oscure. Il risultato, insomma, che si prefiggevano i precursori del genere quando, poco dopo la metà degli anni ottanta, hanno cominciato a masticarlo e a comprenderlo.
Tant’è che è superfluo discutere di old school death metal, giacché lo stile dei nostri è a esso equivalente, per cui basta e avanza l’ortodosso death metal. Con un’aggiunta, però: i blast-beats. Assenti nei debut-album di Possessed e Morbid Angel, tanto per esemplificare il concetto, in “Abysmal Ascent” trovano spesso sfogo nell’allucinazione (“Extractive Monolith“, “Perpetuum“) grazie al suono naturale della batteria (“trigger, chi sono costoro?“) dello scatenatissimo Artur Pacheco che, pur essendo un session-man, risulta ben calato nello spirito della formazione portoghese.
Del fatto di avere un approccio raw alla questione beneficia, e non poco, la voce di Tom Kuzmic, impegnata nello sforzo di legare le linee vocali attorno a un growling istintivo, gutturale, stentoreo. Che sembra provenire da abissi inesplorati, paurosi, di cui non si vede la fine; echeggiando a mano a mano verso l’alto per sferzare l’atmosfera.
Non è certo la prima volta che capita ma ancora una volta la fetta più importante della torta la mangiano i chitarristi grazie a una notevole bravura a tutto tondo. I riff sono cupi, plumbei, dall’andamento continuo che non ammette buchi energetici di sorta. Anche la costruzioni degli accordi è ben fatta ed anche piuttosto complessa. Il che rende il lavoro un po’ meno ostico da digerire per una scioltezza generale che fa bene alle orecchie. Da non dimenticare il rimbombare del basso di RafaHell, emesso allo scopo di rendere spesso il suono che esce dal mixer di una registrazione così… vintage.
I brani non sono eccezionali a causa di una certa uniformità congenita ma scorrono piacevolmente, anche per quanto detto sopra, nella pozza di sangue lasciata lì da immaginari guerrieri. A parere di chi scrive la riuscita del brani stessi è migliore quando esplode la follia scardinatrice come nella termonucleare “Venomous Prophecies“. Un incipit spaventoso che, via via che passano i minuti, lascia spazio anzi tempo a una elaborazione più accurata comprendente anche alcuni assoli niente male.
“Abysmal Ascent” è un disco dallo stile chiaro, netto, tranciante. Un buon punto a favore dei Nostri che, nella loro musica, mettono un qualcosa in più che sfugge dalle mani giacché non si riesce a comprenderne la natura. Andando avanti con gli ascolti la nebbia si dirada e appare chiaramente un atteggiamento vero, innato e che, grazie al rifiuto dell’utilizzo dell’IA, si manifesta in tutta la sua grandezza: la cattiveria (ovviamente musicale). Una malvagità che l’inconscio percepisce e che mette in guarda da potenziali pericoli la parte consapevole della mente.
Niente male, niente male davvero, questi Amputate.
Daniele “dani66” D’Adamo