Recensione: Abysmal Decay
In materia di thrash, black e death metal i paesi sudamericani hanno mostrato e mostrano tutt’ora una notevole tradizione in materia, avendo sfornato act che sono entrati nella Storia del metal (Sepultura su tutti), continuando tuttavia a proporre di continuo nuove band dedite alla parte più estrema del metal medesimo.
La caratteristica che unisce tutte queste formazioni è un’adesione pressoché completa agli stilemi di base di tutti e tre i generi più su menzionati. Definendo per essi un sound arcaico, primordiale, del tutto scevro da pruriti evoluzionistici e, ancor di più, da spinte progressiste tese ad avvicinarlo alle moderne sovrastrutture in materia.
Così è lo stile dei paraguaiani Verthebral che, con il neonato “Abysmal Decay”, raggiungono il traguardo del secondo album di una carriera cominciata nel 2013. Gruppo giovane, insomma, che suona musica vecchia. La quale, per questo, non può che scivolare nel calderone di quello che si definisce universalmente old school death metal. Un genere che quasi inspiegabilmente abbraccia tutto il globo terracqueo, poiché gli epigoni del death metal vecchia scuola sono davvero numerosissimi, sparsi un po’ ovunque – in special modo negli States – ma senza che ci sia una chiara motivazione alla base se non un istintivo desiderio tenere in vita, dall’oblio delle nebbie del tempo, un movimento che ha costituito un tassello importantissimo nella scacchiera del metallo oltranzista.
Quindi è chiaro che i Verthebral, con “Abysmal Decay”, non intendono certamente assurgere ai massimi livelli di notorietà della scena globale. A loro non interessa. Interessa solo suonare death metal. Utilizzando, per la sua elaborazione, sonorità che tendono a riportare chi ascolta indietro nel tempo sino a piombare nella seconda metà degli anni ottanta. Quando, cioè, le frange (musicalmente) più violente si sono distaccate con decisione dal filone del classico heavy metal à la Iron Maiden per confluire in un calderone infernale, ribollente di lava, sangue, ossa, membra e corpi in decomposizione.
Rispetto alla media del genere, i Verthebral, pur apparendo di primo acchito (volutamente) rozzi e involuti, non se la cavano poi male. Se il tono stentoreo e roco di Christian Rojas dice poco o niente, occorre riconoscere il giusto onore ai due chitarristi Daniel Larroza e Alberto Flores, capaci di elevare l’asticella della qualità del gruppo grazie a un riffing per nulla scontato né tantomeno scolastico. I due axe-man, difatti, cercano continuamente nuove soluzioni al solito trantràn di riff triti e ritriti. La fase ritmica è difatti possente, massiccia, intessuta da riff piuttosto elaborati figli di un approccio alla cui base c’è sostanza, tecnica e inventiva. Anche i taglienti assoli svolgono appieno il loro ruolo chirurgico, ricordando per analogia folli serial killer intenti a fare a fette le loro vittime. Ottimo il drumming che scaturisce dagli arti di Denis Viveros, vario e sciolto, dinamico e potente anche quando si alzano i BPM, soprattutto in occasione delle rare occasioni ove viene sfondata la barriera dei blast-beats.
Nell’insieme, insomma, uno stile già definito a monte ma che i Nostri interpretano a modo loro, cercando di infilarci qualcosa di proprio onde evitare di essere la classica goccia nell’oceano. È chiaro che “Abysmal Decay” non è un full-length che lascerà una traccia indelebile ai posteri. Tuttavia, anche l’insieme compatto delle canzoni, ben definite e dotate di un certa personalità, fa sì che l’obiettivo minimo sia stato raggiunto: la realizzazione di un’opera che, seppur non in modo esplosiva, mostra una certa dose di personalità.
Per i fan della vecchia scuola death metal ma non solo.
Daniele “dani66” D’Adamo