Recensione: Acqua Libera
Primo album per gli Acqua Libera ma già tanta esperienza alle spalle. Fabio Bizzarri (chitarra), Franco Caroni (basso), Jonathan Caradonna (tastiere) e Marco Tosi (batteria), sono quattro musicisti capaci, ognuno con un curriculum notevole: si va dagli studi di musica classica, jazz e non solo, all’insegnamento, dai concorsi all’organizzazione di eventi musicali, dalle date all’estero ai festival italiani, condividendo il palco anche con nomi piuttosto conosciuti come Lino Vairetti degli Osanna o Gianni Leone del Balletto di Bronzo. Le loro strade si uniscono nel 2013 quando, accomunati dalla passione per il progressive, i quattro decidono di formare il progetto Acqua Libera con l’intenzione di recuperare i lavori della scena musicale senese prodotti tra gli anni Settanta e Novanta. Si parte quindi dai Livello 7 e dal Juice Quartet, due gruppi nei quali ha militato Franco Caroni, dai quali vengono ripresi alcuni brani che troviamo in questo album d’esordio, affianco a nuove composizioni della band.
Quello degli Acqua Libera è un progressive strumentale che si intreccia con la fusion e prende spunto tanto dalle formazioni italiane quanto da quelle straniere. Un grande spazio è riservato alle tastiere di Jonathan Caradonna, che ha il merito di saper bilanciare sonorità vintage con altre più moderne. In generale il suo strumento si distingue per la qualità dei suoni, soprattutto per quel che riguarda moog e sintetizzatori che, se spesso corrono il rischio di diventare acidi o freddi, qui riescono a essere sempre morbidi ed espressivi, a volte riportando alla mente i suoni di Keith Emerson. Gran parte della componente fusion è data anche dal bassista Franco Caroni, uno dei compositori principali. Quando si sente il suono di un basso fretless non si può mai fare a meno di pensare a Jaco Pastorius, e qui è proprio il caso di citarlo, dato che negli Acqua Libera il basso ha spesso l’occasione di uscire dal semplice accompagnamento e tessere le melodie assieme agli altri strumenti. Inoltre può capitare qua e là di cogliere un richiamo ai Weather Report, anche se mai nel disco si copiano altri artisti in modo sfacciato. In effetti le influenze della band senese sono sempre in equilibrio, e si alternano velocemente anche all’interno dei singoli brani: se prima ascoltiamo un passaggio fusion, poco dopo potremmo trovarci nel territorio del progressive, per poi arrivare a un riff o un assolo più orientati verso il rock. Indicativo in questo senso è il pezzo finale, “Prog Mood”, ma anche “Marcina” che, nell’introduzione, inserisce un vago sapore di musica classica, ricordando il pianoforte di Erik Satie.
Dunque l’obiettivo di un album come questo non è tanto stupire con le atmosfere maestose del progressive sinfonico, ma piuttosto convincere l’ascoltatore a lasciarsi trascinare seguendo le acrobazie dei musicisti, passando da momenti più giocosi ad altri più rilassanti o meditativi. L’ascolto prosegue piacevolmente, lasciando trasparire il divertimento e la passione di chi sta suonando, tuttavia si sente un po’ la mancanza di un pezzo che lasci veramente il segno. È sempre buona musica, su questo non ci piove, suonata da musicisti che sanno quel che fanno, perciò si può solo suggerire di puntare di più sulla personalità. Va anche ricordato che l’album nasce recuperando i pezzi di altre formazioni, quindi bisogna dare il tempo alla band di consolidarsi e lavorare sulla propria identità musicale. Un brano come “Sans Tambour Ni Musique” ci fa ben sperare proprio perché, oltre a essere uno dei migliori del disco, è tra quelli scritti ex novo dagli Acqua Libera. I suoi fraseggi di piano, particolarmente eleganti, e l’inizio che strizza l’occhio al funk ne fanno un ottimo biglietto da visita. Gli indizi per una crescita del gruppo quindi ci sono già, speriamo che in futuro il quartetto di Siena sappia fare un passo avanti e aggiungere un tocco leggermente più personale, o più maturo, a quella che per ora è una buona partenza.