Recensione: Acts of God
Immolation, una carriera cominciata nel lontano 1988 e che, a cinque anni di distanza da “Atonement”, li vede di nuovo sulla scena con l’ultimogenito: “Acts of God”.
Stavolta la strategia è diversa. Ben quindici brani per una lunghezza complessiva che oltrepassa i cinquanta minuti. Come se avessero voluto concentrare la loro terrificante potenza di fuoco in numerose bordate dall’alto speso specifico. Quindi brevi ma intense.
Talmente intense che, come accade in tracce quali ‘Shed the Light’ e ‘Blooded’, per dirne due, si raggiunge e oltrepassa la barriera dell’hyper speed; barriera che si materializza quando la spinta propulsiva raggiunge valori inumani. Il che non è certamente dato per scontato, nei Nostri, poiché con l’andare del tempo molti act incendiari tendono a rallentare la propria, folle corsa.
Gli Immolation, invece, vanno esattamente nella direzione opposta, macinando death metal feroce, assassino, devastante. Death metal classico, irreprensibile nel rispetto dei dettami di base che ne delineano i connotati. Death metal puro, ortodosso, quindi, che modernizza al presente le idee di partenza; lasciando perdere contaminazioni e pruriti evoluzionistici per rispettare al massimo la propria filosofia fondante.
Ross Dolan, membro fondatore, è l’abominevole condottiero che rifugge stili vocali strani per stilare orrorifiche linee vocali disegnate con un growling roco e cavernoso. Un growling non particolarmente profondo, avendo preferito, come da DNA, il sostegno energetico del diaframma quando attivato al massimo delle sue possibilità fisiologiche. Il che consente di produrre un cantato intelligibile ma, soprattutto, assai duttile, che modula il proprio tono in relazione alla musica. Un particolare non secondario, questo, giacché permette al disco di avere un carattere ben preciso. Un mood tetro e dal sapore distopico, quindi, che ha il pregio di caratterizzare in maniera piuttosto intrusiva lo stile del gruppo. Dolan, peraltro, anche bassista, che rotea il suo strumento senza perdersi in voli pindarici ma badando al sodo. Sostenendo, cioè, lo sterminato riffing delle chitarre di Robert Vigna (pure lui presente agli albori della formazione statunitense) e Alex Bouks (nella line-up dal 2016).
Ed è qui che il quartetto della West Coast fa la differenza. I due axeman, difatti, macinano una quantità si potrebbe dire infinita di riff, lacerati da inserimenti dissonanti immaginabili come profonde scanalature nell’agghiacciante muro di suono costruito dal quartetto stesso. Un muro di suono cui è impossibile inerpicarsi per via di una dimensione spaziale abnorme, data la potenza mostruosa erogata dal un riffing che non conosce confini. Davvero una prova di forza che spazza via la maggior parte di chi approccia il death metal con intenti belligeranti.
Gli Immolation sono gli Immolation, e qui si può toccare con mano tutta la loro maestria, tutta la loro capacità di affrontare i più alti numeri di BPM senza perdere mai una pulizia di suono che non si esagera a definire perfetta. E, a proposito di BPM, non si può non citare Steve Shalaty, batterista dal 2013, che imposta un drumming poderoso, impostato sulla concentrazione temporale dei blast-beats ma, allo stesso tempo, sciolto e piacevole da ascoltare. Drumming dai cinetismi senza difetti che, pur essendo complesso, una volta inserito nel contesto generale dell’LP risulta al contrario lineare, coerente con quanto elaborato dai compagni di follia.
Tornando alle song, essendo parecchie occorre un po’ di tempo per entrare nel loro mondo. Non ci sono picchi in cui il songwriting da buono divenga eccellente, ma nel complesso, a mano a mano che procedono gli ascolti, si dipana la nebbia che avvolge le canzoni; lasciando intravedere una varietà che, sì, potrebbe essere migliore ma che, comunque, appare più che sufficiente per tenere a bada la noia.
Ancora una prova convincente di una band che, si può dire, ha contribuito alla nascita del death metal a stelle e strisce. Gli Immolation si rivelano essere ancora in gran forma e “Acts of God” è lì, a portata di mano, per testimoniarlo.
Daniele “dani66” D’Adamo