Recensione: Aerolithe
Giunti con questo “Aerolithe” al sesto (e forse ultimo) album, i Fall of the Leafe dimostrano di aver seguito l’evoluzione già presa da altre band loro connazionali. Nati come band dedita a un black metal con spunti melodici, il loro sound si è via via raffinato andando a includere altri generi e stili pescando in particolare dal thrash, dal rock anni ’70 e dai primi vagiti del grunge. Il risultato è un mix molto orecchiabile e melodico che lascia spazio a spunti più aggressivi ed altri maggiormente melodici. Un esito così omogeneo però risulta essere sia un vantaggio che uno svantaggio. Da una parte infatti risulta essere convincente ed originale, subito riconoscibile, dall’altra però tende ad appiattire anche gli spunti che avrebbero dovuto distinguere un brano dall’altro, con il risultato che a volte sembra di ascoltare la stessa canzone spezzata in 11 brani.
Si comincia con l’intro strumentale (ormai quasi obbligata) di oltre 2 minuti intitolata “Opening” demandata quasi interamente alle tastiere che intessono, complice un voluto effetto etereo, un dolce giro melodico su cui vanno ad innestarsi gli altri strumenti che proseguono lo stesso giro. La melodia prosegue ed evolve nell’inizio della prima vera canzone dell’album, cioè “All the Good Faith”. Subito vediamo come le varie anime di questo gruppo vadano a fondersi in maniera molto accattivante alternando, grazie anche all’uso della chitarra acustica che rimane spesso parte della melodia, passaggi più lenti ad altri più potenti. La voce, pur rimanendo sempre sul pulito, raggiunge, quando serve, un ringhio che mi ha ricordato più volte il miglior Hetfield.
Pigia maggiormente sull’acceleratore la successiva “Drawing Worry”, senza però mai dimenticarsi della melodia e risultando sempre molto orecchiabile. Un pregio indiscutibile dei Fall of the Leafe è indubbiamente quello di riuscire a risultare sempre immediati all’orecchio dell’ascoltatore anche non allenato, nonostante le composizioni, a volte, non lo siano quasi per niente.
“Lithe”, semi title-track dell’album, ne è la dimostrazione lampante.
Più lenta e con qualche incursione della voce growl è invece la quinta “At a Breath’s Pace”, canzone che presenta in maniera forse maggiore finora, quegli influssi dal gothic seminale che il gruppo afferma di aver introiettato nella propria biografia, ma di cui fino a questo punto della scaletta si era sentito poco.
“Graceful Retreat” dimostra una interessante propensione per il prog grazie ai suoi continui cambi di tempo e ai riff spezzati e alternati. Sicuramente uno dei brani più interessanti del platter e che merita più di un ascolto per essere apprezzato appieno.
Meritevoli di menzione ci sono però ancora “Minor Nuisance”, brano potente e in cui le chitarre di chiaro sapore thrash ottantiano la fanno da padrona, poi la penultima “Look Into Me”, disturbante a tratti, violenta, variegata, meritevole perché in grado di sviluppare un sound leggermente diverso da quello del resto del cd e per questo capace farsi ricordare un po’ di più.
A chiudere l’album “Closure”, brano strumentale di poco meno di un minuto che si ricollega a “Opening”, sviluppando la stessa melodia al contrario, suonandola quindi prima con tutti gli strumenti e spogliandola poi poco a poco lasciando infine solo le tastiere.
Per concludere i Fall of the Leafe si confermano un interessante esperimento che meriterebbe sicuramente un ascolto. Grazie anche a una produzione pressoché perfetta per il loro sound, sfornano l’ennesimo album fatto di influssi eterogenei e brillantezza compositiva personale. Purtroppo però il disco risulta alla lunga un po’ ripetitivo al suo interno e le canzoni soffrono un po’ la prova del tempo.
Tracklist:
01 Opening
02 All the Good Faith
03 Drawing Worry
04 Lithe
05 At a Breath’s Pace
06 Graceful Retreat
07 Sink Teeth Here
08 Minor Nuisance
09 Especially by Stealth
10 Look Into Me
11 Closure
Alex “Engash-Krul” Calvi