Recensione: Æther
Déluge.
Cioè, acquazzone, diluvio.
Una caotica e violenta discesa di acqua dal cielo, ben diversa dalla tranquillizzante monotonia della tipica pioggerella autunnale.
Mutuando la veemenza di questa manifestazione naturale, i francesi Déluge formano la base della loro musica. Black metal. Devastante, delirante, deprimente. Cinetico, caotico, convulso. Ma anche melodico, a volte, nonché ricco di intarsi post-black. Come da migliore tradizione transalpina. Tant’è vero che, per esempio, in “Mélas | Khōlé” fa capolino Neige dei meravigliosi Alcest.
I Déluge, seppur inzuppati sino all’osso del flavour dolce e mansueto delle trasognanti atmosfere della eerie emotional music, assimilabile in questo caso per l’appunto al post-black, si dimenano come ossessi sin da subito, dall’iper-velocità dell’opener “Avalanche”. Tremendo, maestoso muro di suono costruito sulle disperate invocazioni di Maxime Febvet, vocalist dotato di uno streaming che non lascia spazio ad alcuna speranza per un Mondo in cui la Natura possa possedere la Sua dignità, la Sua magnificenza. Devastata, com’è, dal proprio figlio degenere: l’Uomo. Le chitarre di François-Thibaut Hordé e Richard de Mello sono un tutt’uno, intrappolate in un riffing chiuso su se stesso, a volte ronzante, a volte armonico, a volte devastante. Come devastante è il drumming di Benjamin Marchal, spaventosa macchina ritmica in grado di travalicare la barriera del suono con irrisoria facilità e stupefacente naturalezza (“Appât”). E, una volta di più, la sua profondità tonale e possanza energetica fanno del basso, manovrato da Frédéric Franczak, un’arma insostituibile, in questi frangenti. Smontando certa corrente di pensiero che vuole il black metal appannaggio esclusivo, o quasi, delle one-man band.
Ma il quintetto di Metz non è solo una fiammeggiante macchina da guerra. Seppur dotato di straordinari talenti velocistici, è capace di costruire break ove lo scrosciare della pioggia rappresenta una superba manifestazione d’amore per la Verde Oscurità. I sentimenti più dimessi, silenziosi, introspettivi, allora, emergono dall’inerzia della foga demolitrice. Come oasi nel deserto, come radure nella foresta. Lo straziante richiamo di Febvet non può lasciare indifferenti. Il dolore, la sofferenza, la misantropia divengono, sull’onda delle sue strofe, dolci e solitari rifugi nei quali celarsi dalle misere vicende dell’Umanità, impegnata solo e soltanto – in massa – ad accelerare il proprio naturale processo di estinzione.
Del resto si sa: il post-black è praticamente inarrivabile, quando si tratta di proiettare nella mente mirabili visioni di mondi infinitamente lontani, infinitamente vicini. Talmente vicini da essere parte integrante dell’anima. Quell’anima che è il lievito fecondante dello spirito primigenio che anima la musica dei Déluge e del loro “Æther”, Opera Prima di una carriera nata soltanto due anni fa. Tempi brevi, quindi, che non si fanno assolutamente notare, a causa di un sound totalmente maturo, sicuro dei propri mezzi, autorevole e adulto. Circostanza, questa, rinvenibile con facilità in ciascuna delle song che compongono il platter. Pure nei tratti cosiddetti atmosferici in cui avviene la strumentazione elettrica va a rarefarsi, come nell’ipnotica, strampalata “Vide”.
La piccola label francese Les Acteurs De L’Ombre Productions con i Déluge e “Æther”, assieme a “Exile” dei Regarde Les Hommes Tomber e “Pillar Of Detest” dei Moonreich, regala agli appassionati, e non solo, un’altra perla di black metal. Una perla che, al momento, identifica una delle evoluzioni più interessanti, ricche di pathos e distruttive, nonché parimenti trasognanti, del genere stesso.
Daniele D’Adamo