Recensione: Face The Storm
Gli After Lapse nascono dalla riunione di alcuni ex-membri della progressive metal band Delyriüm: Roberto Cappa (batteria), Pablo Sancha (tastiere) e Arturo Rodriguez (chitarra), gruppo iberico con all’ attivo un unico album “Quaerens Utopiam” (2013) vincitore del “Cano Memorial Modern Music Contest”, premio indetto dalla città natale della band: Albacete.
Un comune posto in una zona strategica a metà tra la ridente costa del Levante e la caotica capitale Madrid, altresì capoluogo della provincia autonoma di Castilla-La Mancia e circoscrizione che nel tempo ha visto il passaggio di numerose e differenti comunità che lo hanno modificato radicalmente, dai romani ai visigoti fino ad arrivare agli arabi.
Un territorio esclusivo, caratterizzato inoltre dalla nascita di un personaggio epico: il “quijote”, eroe di fantasia nato dalla mente di Miguel de Cervantes Saavedra, l’hidalgo (o meglio dire nobile…) appassionato di romanzi cavallereschi, che per difendere i deboli assume le sembianze del Don Chisciotte.
Cosa meglio di questo metling-pot culturale e cortese può dunque meglio definire le numerose influenze che popolano questo “Face The Storm”, un album che aggiunge un gusto tecnico tipico di Dream Theater, Haken e Pain Of Salvation ad una componente più orchestrale dettata da band come Angra e Kamelot?
“Thrive” dall’ inglese “prosperare” apre subito con una corposa introduzione strumentale: una tastiera enigmatica che attribuisce un attivo senso di serafica instabilità. Le mani che suonano sono quelle di Pablo Sancha – che però avrà sfogo nella sua pienezza in uno splendido assolo sul finire del brano – cui si aggiunge in prima battuta una compatta chitarra ad opera del più recente acquisto della band: Jorge Escudero (Crownless) e una solida base di basso, Javier Palacios (Niobeth) che conferisce stabilità e carattere al brano delineandone meglio i tratti somatici.
La sensazione di precarietà comunicata precedentemente permane spesso e si ripresenta in diversi passaggi soprattutto di tastiera in “Where No One Cares” a cui al riff di chitarra e ritmica di batteria decisamente più martellanti – poco prima di far subentrare la componente melodica e cullante alla voce, con un Sänger Rubén Miranda (Krait) in piena forma -, diviene più neoclassica con un passaggio più accigliato.
Da annotarsi anche l’assolo di chitarra ad opera di Pedro J. Monge (Vhäldemar).
Ma non mancano momenti più algebrici tipici dell’ impostazione progressive della band. È certamente il caso di brani come “The Lie” che presenta complessi ed intricati pattern sonori che saranno in grado di sedurre anche le orecchie più esigenti. Le linee vocali e i cori, poi, arricchiscono e infittiscono ulteriormente la trama, impreziosendola.
O ancora di “Facta Non Verba” più incombente, quasi minacciosa ma al contempo magnetica in questa ambivalenza costante, accattivante e profonda.
L’alternanza di momenti più concitati come in “Come Undone” e altri più distesi come “Heal” o l’attacco temperato di chitarra di “Beyond The End”, comunica bene quello che “Face The Storm” – che è anche la title track – vuole esprimere. Un’ esplorazione introspettiva dentro sé stessi, un invito a compiere un percorso accidentato attraverso una tempesta figurata, vista come espediente da affrontare per riuscire a superare una determinata situazione avversa: un avvenire ignoto che spaventa e per questo difficoltoso da affrontare.
Ad ognuno di noi è capitato di fronteggiare periodi complicati, segnati dal un disagio o una crisi legata ad una particolare circostanza.
Ma quello che è certo – e lo diceva anche Eric Draven aka Brandon Lee ne “Il Corvo” – è che “non può piovere per sempre”.
Le condizioni durante il cammino mutano continuamente e capita di aver bisogno di una guida esperta che ci conduca sani e salvi al campo base.
Gli After Lapse si propongono prontamente di essere i nostri sherpa e ci invitano a non arrenderci davanti alle sciagure che sembrano perseguitarci: “shine my friend / keep on fighting ‘till the end / and eternity will show us the way / cause today you rise again”.
Una conclusione che mi ricorda prontamente una frase che tratteggiò Van Gogh: “i pescatori sanno che il mare è pericoloso e la tempesta terribile, ma non hanno mai trovato questi pericoli, una ragione sufficiente per restare a riva”.
Chiude una “Along the Way” che vede Valero al violoncello e ristabilisce gli equilibri più volte sconvolti a favore di una quiete figurata, grazie alle magistrali parti vocali in crescendo, che raggiungono un picco d’intensità, cui segue una chiusura distensiva e malinconica.
Vale dunque la pena di affrontare la tormenta (o il tormento interiore) che ci rimescola e lasciarci travolgere dalle note impetuose di questo debutto degli After Lapse, per un ascolto totalizzante ed immersivo.