Recensione: After the war
I dischi di Gary Moore degli anni’80 per me sono qualcosa di unico, inimitabile ed eccezionale. Il nostro axe-man irlandese riuscì dal 1982 fino al 1989 a produrre 6 dischi di purissimo hard n’heavy fiammente e ruggente. Una delle peculiarità fondamentali della sua carriera solista è stata la capacità di unire le sue influenze irlandesi all’heavy rock.
Su questo stile troviamo un intero disco, Wild Frontier, dove il suo esperimento riesce alla perfezione, ma anche negli altri dischi troviamo in alcuni pezzi delle gemme chitarristiche di altissima classe.
Siamo nel 1989, e reduce dai successi Wild Frontier Tour, Gary Moore e la sua band, (formata per l’occasione da gente del calibro di: Bob Daisley al basso, Cozy Powell alla batteria, Neil Carter e Don Airey alle tastiere e naturalmente Gary alla chitarra e alla voce), registrano il disco più metallico, più cromato della carriera del piccolo grande chitarrista.
After the War è l’ultimo sigillo nel panorama Heavy Metal per Gary Moore che poi proseguirà la carriera di bluesman, ma è un bellissimo canto del cigno. Un forziere contenente canzoni bellissime, calibrate sulla fantastica voce del nostro e sui bellissimi passaggi melodici che Gary ci regala con le sue chitarre.
Apre il disco la title-track, e si parte subito alla grande con tastiere pompose e chitarre dal puro sound hard ‘n’heavy, poi c’è la stupenda Speak for yourself, aperta da un riff da fare invidia a Jake E Lee e Akira Takasaki.
Con Led Clones abbiamo una sorpresa: Gary ci regala un pezzo in pieno stile Kashmir (vi devo dire di chi è ?) con alla voce nientepopodimenochè Ozzy Osbourne (e quando parlo di Ozzy Osbourne del 1989, mi riferisco a quello sempre cotonato e veramente grande), un bellissima intepretazione per una bellissima hard rock song.
Gary è sempre stato un maestro nel suonare i lenti, pensiamo alla stupenda Empty Rooms oppure alla struggente The Loner (presente su Wild Frontier), e anche su After the War Gary Moore ci regala una commovente interpretazione del classico The Messiah Will Come Again. Come era successo in passato, anche in questo caso lui riesce a far piangere la sua chitarra, lasciando a noi fans una sensazione di tristezza/felicità interiore.
Ma per rimetter il disco sulle carreggiate tipiche dell’Heavy Metal ci pensa la dinamitarda Running from the Storm (che io ho sempre considerato Out in the Fields pt.2), che in virtù di una linea vocale azzeccata e di un assolo stupendo riesce ad entrare nella testa al primissimo ascolto.
Blood of Emeralds è dedicata al suo amico Phil Lynott, ed è una song bellissima (nello stile di Wild Frontier), e a chiudere il disco ci pensa Dunluce pt.2: una strumentale bellissima; testamento di un Gary Moore che fu, e che mai più tornare a calcare le sonorità che noi preferiamo.
Tracklist:
1.Dunluce (part1)
2.After the war
3.Speak for yourself
4.Livin’on dreams
5.Led clones (con Ozzy Osbourne)
6.The messiah will come again
7.Running from the storm
8.This thing called love
9.Ready for love
10.Blood of emeralds
11.Dunluce (part2)
Line-Up:
Gary Moore – vocals, guitar
Bob Daisley – bass
Don Airey – keyboards
Neil Carter – keyboards and backing vocals
Cozy Powell – drums