Recensione: Afterlife

Di Matteo Lasagni - 6 Dicembre 2004 - 0:00
Afterlife
Etichetta:
Genere:
Anno: 2000
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75

Afterlife segna un nuovo inizio per i Nocturnal Rites, che dopo 3 album in crescendo all’insegna dell’heavy-power più classico decidono di cambiare parzialmente rotta. Il genere rimane sempre quello e tutto sommato chi ha amato i primi 3 album credo troverà grandi soddisfazioni anche da questo quarto lavoro della band svedese. Le differenze però rispetto al periodo precedente ci sono eccome a partire dal cantante, ve lo ricordate il bravissimo Anders Zackrisson? La sua voce limpida e il timbro molto particolare erano il marchio di fabbrica dei vecchi Nocturnal Rites. Ed ora? Il nuovo singer è cambiato, si chiama Jonny Lindkvist, canta con classe, tecnica ed ha un timbro davvero graffiante in grado di dare ai pezzi grande carica e al contempo il giusto appeal melodico, senza contare l’ottima estensione vocale che varia senza alcun cenno di cedimento dalle tonalità più basse e pesanti a quelle più alte ed evocative. Il sound della band si è fatto più roccioso, le chitarre (Norberg-Mannberg) sono taglienti come si deve con riff belli tosti e ben costruiti e la sezione ritmica (Lingvall alla batteria e Eriksson al basso) viaggia spesso a cannone ben oltre i limiti di velocità consentiti! L’uso delle tastiere risulta piuttosto parsimonioso, ma comuque apprezzabile nella sua funzione di rifinitura.

Si parte di gran carriera con la title-track, doppia cassa sparata e chorus davvero bello, con il signor Lindkvist che si presenta al suo pubblico con una prestazione spettacolare! Unico neo del brano (e qua ho temuto per l’intero album) una produzione un pò troppo “sporca”, soprattutto per quanto riguarda l’eccessivo “schiaffeggiamento” dei piatti della batteria, davvero fastidiosi per tutta la durata del brano, che con una produzione più pulita avrebbe sicuramente guadagnato qualche punto in più, ma il pezzo rimane comunque un buon inizio. Piccolo gioellino il finale della canzone, che grazie ai suoni particolarmente distorti ci permette di entrare in un’atmosfera quasi mistica, ottima per staccarci ulteriormente dalla realtà e catapultarci nel mondo di Afterlife. Si continua con “Weak Up Dead“, up-tempo interessante con ritornello di buona fattura, anche se non proprio originalissimo, che prosegue in maniera lineare il brano d’apertura. Con “The Sinners Cross” i ritmi calano ulteriormente, e ci troviamo di fronte ad un mid-tempo piuttosto scialbo, il guitar-riff è sempre bello corposo, ma in questo caso non basta per strappare la sufficienza. “Hell and Back” invece segna il ritorno a tempi decisamente più sostenuti. Il gruppo viaggia compatto e cattivo fino a raggiungere il melodicissimo refrain, vero epicentro di quest’ottima song. “The Sign” chiude la prima metà del cd senza lasciare il segno, visto che dopo un paio di ascolti il brano in questione diventa il classico filler da saltare a piè pari. Quindi andiamo oltre e veniamo a “The Devil’s Child” che racchiude in sè un inizio molto heavy e ben presto la traccia sale d’intensità per esplodere nel travolgente chorus dominato dalla splendida interpretazione vocale di Jonny Lindkvist. Arrivato ormai alla sesta track mi convinco che la produzione non è poi così male, anzi risulta più che discreta e in fondo il solo pezzo d’apertura avrebbe dovuto ricevere più attenzioni. Meglio così anche perché il songwriting della band in parecchi frangenti sembra fresco e convincente e sarebbe stato un vero peccato penalizzare l’intero lavoro con suoni poco curati. “Genetic Distortion Sequence” è un mix apprezzabile di power e reminiscenze priestiane periodo Painkiller, nulla di che, ma Norberg e compagni dimostrano di avere sempre la giusta carica per convincere anche il critico più scettico. “Sacrifice” sinceramente non fa gridare al miracolo, classica power song senza infamia e senza lode, che prepara a quella che, secondo me, risulta essere la vera hit del cd, ovvero “Temple of the Dead“. Power-speed alla stato puro, con la coppia d’asce Norberg-Mannberg che macina riff da urlo e con il tentacolare Lingvall che dietro le pelli è uno schiacciasassi. Il brano è terribilmente pesante nelle strofe, con la voce di Mr. Lindkvist davvero carica di rabbia, ma al livello del bridge si intuisce che i 5 vichinghi si lanceranno alla velocità della luce per darci un saggio di cosa sanno fare. Ed infatti il chorus è semplicemente splendido con un tiro melodico vincente, diretto, ma affatto scontato! Il break centrale smorza i toni con un pregevole stop d’atmosfera per poi ripartire alla grande e scagliarci a testa bassa verso l’epico finale da headbanging forsennato! Un brano che da solo vale l’acquisto del cd. Il disco si chiude con “Hellenium“, mid-tempo piuttosto inutile che sicuramente non brilla in mezzo ad altre perle ben più lucenti.

In conclusione possiamo dire che i Nocturnal Rites, nonostante alcuni cambiamenti stilistici e di formazione, mantengono la qualità generale dimostrata con i precedenti album. Afterlife non è sicuramente un capolavoro, anche a causa della presenza di alcuni pezzi non proprio all’altezza, ma rimane comunque un eccellente cd di sano ed incontaminato power-speed metal.

Tracklist:
1. Afterlife
2. Wake Up Dead
3. The Sinners Cross
4. Hell And Back
5. The Sign
6. The Devil’s Child
7. Genetic Distortion Sequence
8. Sacrifice
9. Temple Of The Dead
10. Hellenium

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