Recensione: Afterlifelines
Non sappiamo se questi quarant’anni i Rage se li sentano tutti quanti sul groppone o meno, ma sta di fatto che riescono a mascherarli abbastanza bene. Quattro decadi da celebrare, ovvero da quando nel 1985 pubblicarono l’esordio Prayers of Steel come Avenger. Poi nel 1986, con l’uscita di Reign of Fear, cambiarono il nome nell’attuale Rage. In tutto questo tempo sotto i ponti sono passati tanta acqua e tanti lavori pubblicati. 23 album in studio, 8 Ep, un live ed un paio di raccolte. Peavy e soci non se ne sono stati di certo a grattarsi durante la loro lunga attività, e non lo fanno nemmeno adesso. Per festeggiare il loro quarantennale non sfruttano la facile trovata del live celebrativo, che avendone fatto solo uno in tutta la loro carriera ci potrebbe anche stare. E nemmeno una scontata raccolta o cofanetto antologico. I Rage vogliono auto celebrarsi con un nuovo album, anzi, con due. Afterlifelines è infatti un disco doppio con ben 21 tracce. La prima parte intitolata Afterlife è stata registrata come trio dal leader Peter “Peavy” Wagner alla voce e basso, Vassilios Maniatopoulos alla batteria e Jean Bormann alle chitarre.
La seconda parte, dal titolo Lifelines invece, vede una serie di brani registrati sempre dal trio ma con degli accompagnamenti orchestrali, strada questa, già percorsa dai Rage dal 1998 al 2001. Solo che questa volta non sono accompagnati dalla filarmonica di Praga come su Lingua Mortis, infatti le parti orchestrali sono tutte ad opera del tastierista Duisburg Marco Grasshoff che si è occupato dei vari arrangiamenti per quartetto d’archi, strumenti a fiato e pianoforte.
Afterlifelines poi è stato registrato e prodotto presso il Lucky Bob Studio a Leverkusen, mentre per la copertina ci si è avvalsi del lavoro di Karim König.
Partiamo con il primo CD Afterlife: dopo l’intro In the Beginning arriviamo alla prima vera traccia End of Illusions, una speed/thrash song con potenza e melodia dosate nel giusto equilibrio, come i Rage sanno fare da sempre. Under A Black Crown è invece più impostata su un metal classico abbastanza sostenuto che culmina con un ritornello indovinato. Ancora metallo rovente con la title track con protagonista una chitarra vigorosa.
Un riff fulminante apre la strada a Dead Man’s Eyes, un pezzo con una struttura massiccia ed una ritmica serrata.
Anche se il disco parte bene con delle buone canzoni, la produzione bisogna dire, non è proprio delle migliori.
Mortal inizia con un riff che ricorda quello di The Breeding House di Bruce Dickinson. Paragone un po’ iperbolico il nostro: non possiamo certo parlare di plagio. La traccia ha una struttura spigolosa al limite del thrash con un ritornello melodico piazzato al posto giusto. Ma d’altronde quel vecchio volpone di Peavy Wagner sa giocare bene con i riff potenti e le melodie accattivanti che sono da sempre il marchio di fabbrica dei Rage. Melodia e potenza appaiate anche su Toxic Waves, dove il trio affronta tematiche ecologiche, nello specifico quello degli oceani inquinati dalla plastica. Sulle ali di un riff dal sapore thrash arriviamo a Waterwar, pezzo reso ancora accattivante dalla giusta dose di melodia.
Justice Will Be Mine è invece un classico heavy metal anthemico, mentre sulla seguente Shadow World i Rage provano a strizzare l’ occhio ad un certo metal moderno senza però perdere la loro rotta.
Life Among Ruins è una traccia a cavallo tra hard and heavy con ritmiche vivaci ed un ritornello che casca come il cacio sui maccheroni, o la senape sui bratwurst (visto che i Rage sono tedeschi…).
Archiviato il primo volume, adesso c’è un po’ di curiosità per il secondo Lifelines, quello con gli arrangiamenti orchestrali. Va specificato che i Rage in versione orchestrale non sono mai stati i Rhapsody Of Fire o i Nightwish, le parti sinfoniche, seppur presenti, sono sempre state di contorno ai brani, senza eccedere in pompose sonorità barocche.
Cold Desire inizia con un delicato tappeto di pianoforte e violini per poi esplodere in una sfuriata thrash ruvida e spigolosa. Root Of Our Evil gioca ancora sull’equilibrio tra hard rock ed heavy metal. Curse The Night si presenta con una veste più cupa guardando ancora ad un certo metal moderno senza andare lontano dal solco tracciato dai Rage nel corso degli anni. Orchestrazioni ben in evidenza fanno da apripista alla seguente One World, un hard and heavy dove vengono ancora affrontate tematiche ecologiche.
Pur proponendo buone canzoni anche questo secondo capitolo pecca ancora nella produzione, andando a penalizzare principalmente la componente orchestrale che dovrebbe essere la più valorizzata di questo secondo volume.
It’s All Too Much si presenta come una composizione più ruvida dove i Rage provano ancora a guardare a certe cose più moderne.
Con Dying To Live il trio tedesco pare voler fare un omaggio ai connazionali Blind Guardian con una ballata dagli echi folk dove Peavy prova, senza grande successo a dir la verità, a fare l‘Hansi Kursch in versione menestrello.
The Flood è un mid tempo dai sapori hard rock con le orchestrazioni che risultano però ovattate. Arriviamo alla title track Lifelines, che inizia come una ballata tetra per assumere toni più severi con lo scorrere dei minuti. Sinceramente, pur trattandosi di una buona canzone, dai suoi quasi 10 minuti di durata ci si sarebbe aspettati un po’ di più. La seguente Interlude, come si può immaginare dal titolo è un interludio orchestrale che fa da intro alla conclusiva In the End, una power-ballad malinconica con cui si conclude questo voluminoso album.
I Rage per il loro quarantennale provano a fare la loro versione di Use Your Illusion o di Physical Graffiti. Pur non diventando una pietra miliare come i lavori appena citati, Afterlifelines saprà farsi piacere. Non manca qualche piccola sbavatura. Su tutte, come già accennato, la produzione che poteva essere migliore. Ciò si fa sentire in particolare nella seconda parte, quella che avrebbe necessitato di suoni migliori per valorizzare al meglio l’approccio orchestrale. Se a ciò aggiungiamo l’estesa durata del disco, il risultato può apparire un po’ tedioso per qualcuno che non è cresciuto a pane e Rage. Per il resto Afterlifelines nel suo complesso funziona bene ed i pezzi validi non mancano di certo. La voce di Peavy a volte è un po’ in affanno, ma il vecchio leone sa ancora ruggire. A conti fatti Afterlifelines celebra bene la carriera dei Rage che si dimostrano ancora in grado di sparare qualche buon colpo. Nonostante i quarant’anni di rabbia, credo che Peavy Wagner abbia tutte le ragioni per ritenersi soddisfatto.