Recensione: Age of Chaos
Battleroar non lascia scampo a sentimenti che non siano acciaio, fragore metallico ed irruenta carica epica. La sintesi di questi semplici e quasi improponibili concetti è tutta racchiusa nei solchi di un disco come “Age of Chaos”, secondo album in studio della band greca con alla voce l’italianissimo Marco Concoreggi. Rispetto al precedente disco, l’inserimento di parti acustiche ha arricchito tutto il lavoro di un certo tocco di solennità. D’altro canto in questo questo Age of Chaos sono episodi musicalmente incentrati su ritmiche cadenzate a dettar legge durante l’intera esecuzione del disco.
Il platter è inaugurato dalla splendida The Wonderer , gemma acustica di notevolissimo spessore che si avvale della partecipazione vocale di Mark Shelton. Con la seguente Vampire Killer i Battleroar assestano un rovente colpo di fast Heavy Metal all’insegna del più sanguigno US metal. La song è resa immortale dall’incredibile incedere vocale di Concoreggi (vero punto di forza della band) intento ad interpretare magistrali ed eroici refrain. I ritmi si fanno più cadenzati con la seguente manowariana Siegecraft scandita da un poderoso muro sonoro messo su dall’accoppiata chitarristica Karazeris/Tzortzis intenti a far proprie le leggende racchiuse all’interno di scrigni come “Into Glory Ride”. Ma il vero capolavoro assoluto del platter prende l’emblematico titolo di Tower of Elephant, incredibile suite tracotante di “howardiana” epicità che si snoda, solenne, su di una costruzione melodica avvincente ed eroica che raggiunge il suo incipit nei solenni refrain portati in auge da una millimetrica interpretazione del singer. Ma la passionalità epica dell’act Battleroar fa capolino anche nei ritmi serrati della successiva Deep Buried Faith (che chorus!) e della barbarica Dyvim Tvar (impeccabile suite dall’andamento selvaggio). I Battleroar tornano a tributare il maestro illuminatore Howard con la successiva Sword of Crom, pagano e poderoso componimento dall’andamento alla Witchkiller. Le cadenze malinconiche di Narsil (Reforge the sword) sono preludio alla tempesta di incendiarie terzine che ne caratterizzeranno tutto l’andamento mentre la successiva suite Calm Before The Storm dal piglio quasi “omen-iano” è innalzata su una costruzione strumentale ferrea e rigorosa sulla quale si adagia, epicamente, l’ottima prestazione vocale di Concoreggi. Splendido il break ed il solo centrale, che, in un fluidificarsi continuo di acciaio, trasporta l’ascoltatore nelle magiche terre del mito del ferro. Chiude il lavoro Dreams of Steel malinconico epitaffio finale che riavvolge, eroicamente e dolcemente, questa autentica pergamena d’acciaio.
Questo dei Battleroar è un disco riuscito, avvincente e puramente Epic Metal. Un disco di non facile assimilazione per coloro che non sono avvezzi a queste sonorità ma che vale tuttavia di essere ascoltato, perché tra i solchi di canzoni come “Tower of The Elephant” e “Sword of Crom” possiamo rivivere, almeno per un attimo, in quei luoghi dove lame Hyrkaniane splendono all’orizzonte orientale e cani Shemiti sputano sangue osservando la spada cimmera, astuta e rapida, ondeggiare sulle loro insanguinate teste.
Vincenzo Ferrara