Recensione: Age Of Reason
Eccoci qui, con questa bella grana da risolvere. Un nuovo album degli Strangeways.
Perbacco, roba – parlando dal punto di vista dell’appassionato di AOR – da accogliere sempre con un gran sorriso ed un moto di soddisfazione, nella speranza di ritrovare tutta la poesia, i colori, le immagini e la grandezza di una delle massime espressioni mai prodotte nel campo del rock melodico, sin da quando ne sono stati definiti canoni e linee guida.
Una bella patata bollente, anche perché, diciamocelo senza troppi stupori, il precedente “Perfect World”, datato 2010, aveva lasciato qualcuno leggermente interdetto ed a bocca asciutta, in virtù di un cambio radicale di prospettive, atmosfere e songwriting che, pur non apparendo affatto sgradito, aveva fatto strorcere il proverbiale naso a più di un affezionato.
Che fanno allora Terry Brock e compagni, ora davvero riuniti al completo grazie al ritorno pure del bassista storico David Stewart? Ci riprovano finalmente alla “vecchia” maniera, riportando in auge la magniloquenza degli antichi scenari, o intendono proseguire sulla strada di un rock intimista, crepuscolare, “umido” e talvolta asfittico?
La risposta è pura retorica ed è, purtroppo, il risultato di una serie di indizi che testimoniano come questo approdo all’”Età della Ragione”, da parte di Brock e compagni, sia probabilmente un passo falso che si poteva evitare. Almeno in parte: se non proprio infarcendo il nuovo lavoro con iniezioni di melodie solari alla “Walk In The Fire”, quanto meno, cercando di bissare i discreti esiti mandati a referto con il pur controverso predecessore.
Del resto, ci sarebbe anzitutto da porsi una domanda di peso sul motivo per cui, una label attenta, qualificata e prestigiosa come Frontiers records, abbia deciso – dopo un solo album – di non proseguire il rapporto con il gruppo scozzese.
Ci sarebbe poi da far luce sulle ragioni per cui, una band spenta da tanti anni, sia improvvisamente divenuta tanto prolifica al punto da realizzare due cd completi nell’arco di soli dodici mesi.
E ci sarebbe da domandarsi il motivo per cui, un nome comunque “spendibile” e di rilievo come quello degli Strangeways, sia stato costretto a ricorrere alla pubblicazione “autonoma” – attraverso una propria label privata – per dare alle stampe quello che, a conti fatti, risulta essere l’ottavo cd di una carriera altalenante e vissuta tra luci ed ombre.
Tutti quesiti che, ancora una volta, ottengono la medesima risposta retorica di cui sopra.
Gli Strangeways targati 2011, offrono di nuovo un melodic rock dalle connotazioni tenui e pallide. Che però, ahinoi, in questo caso risulta molto meno convincente e povero di contenuti, quasi che questo “Age Of Reason” (notare l’acronimo composto dalle iniziali: A.O.R.), fosse stato in realtà realizzato utilizzando scarti, b-sides e materiale di recupero proveniente dal comunque piacevole capitolo del 2010.
Una voce che, a onor del vero, circola con insistenza da qualche tempo ed alla quale, alla luce dei fatti, potremmo quasi dar credito…
Se, quindi, la piacevole opener “The Sentinel”, pur non incanalando il fiume delle emozioni verso sentieri di antica grandezza, appare un buonissimo brano di rock romantico e ben ispirato, in linea con le sensazioni autunnali e rarefatte di “Perfect World”, già dalla seconda traccia, “Run”, l’idea che ci sia qualcosa che proprio non va, si delinea netta e preoccupante.
Statica, ripetitiva, molle e noiosa, con un ritornello ripetuto sino allo stremo dello forze: un leit motiv sfortunatamente diffuso un po’ ovunque nel resto del cd.
Per confermare l’opinione di un album davvero poco incisivo, lento e soporifero, basterà, infatti, scorrere la tracklist, scoprendone il costante deterioramento in termini d’interesse, mano a mano che il minutaggio cresce.
Il tentativo di ottenere effetti evocativi ed immaginifici è spesso evidente: i risultati, non proprio auspicabili e di massimo fascino.
“Playin’ It Over” e “As We Fall” ad esempio, sono due ciondolanti ed uggiosi slow che non suscitano particolari emozioni. “Call” un pezzo che alle prime battute parrebbe voler ricalcare di nuovo le strade percorse dagli ultimi Dare, senza però riprenderne la medesima passionalità e con un ritornello “stanco” al limite dei 78 giri.
“End Of The Day” e “Alive Again”, per fortuna, riservano invece qualche timido raggio di sole in un panorama tardo autunnale, avvolto da un pessimistico grigiore. Un paio di melodie non proprio memorabili, ma tutto sommato scorrevoli ed almeno un pizzico più vivaci.
Timide speranze di ripresa: i guai sono tutti nel finale, con un trittico conclusivo di canzoni che proprio non riesce a decollare e mostra il lato più fallimentare e “palloso” di questa nuova uscita degli Strangeways.
“Silver Moon” si propone come un fenomenale sonnifero da somministrare ai casi più gravi d’insonnia: risultati garantiti. “Frozen” è il più classico dei riempitivi inconcludenti e privi di qualsiasi fascino. La finale “Long Road” è per concludere, un episodio che, come accaduto troppo spesso nel corso dell’album, si butta a capofitto alla ricerca dell’armonia suggestiva e di ampio respiro, salvo poi perdersi in un mare infinito di tedio morboso e malinconia opprimente.
Un mezzo disastro insomma. Un disco che onestamente possiamo definire senza troppe remore, pur con una dolorosa fitta al cuore, come la delusione maggiore dell’anno appena terminato.
A nulla valgono, purtroppo, le parole bene auguranti utilizzate dal carismatico singer statunitense nel presentare la nuova opera.
“Questo è l’album che tutti i nostri fan stavano aspettando”.
A dirla tutta, facciamo fatica a credere che un autentico amante della band scozzese-americana, desiderasse proprio questo.
Se poi, arrivare all’”Età della Ragione”, significa divenire dei barbosi e prolissi parrucconi, beh, meglio allora non crescere mai e conservare quell’istinto incosciente e divertito, quello che rende ogni sensazione più colorata, carica di bruciante vitalità e soprattutto, permette alla musica di divampare in un inestinguibile rogo di passioni.
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Tracklist:
01. Think Of Myself
02. Wheels Of Time
03. Living On A Highway
04. The Light Of A New Sun
05. Sweet And Wild
06. Islands
07. Nashville Nights
08. California Sunset
09. White Soldier
10. Fallen Angel
Line Up:
Terry Brock – Voce
Ian J. Stewart – Chitarre
David Stewart – Basso
Jim Drummond – Batteria
David “Munch” Moore – Tastiere