Recensione: Age of Vultures

Di Nicola Furlan - 2 Febbraio 2017 - 6:00
Age of Vultures
Band: Burn Damage
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2017
Nazione:
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45

I Burn Damage sono una death/thrash metal band portoghese nata nel 2008 a Lisbona. Il quartetto, capitanato dalla cantante Inês, propone un sound che oscilla tra il death metal stile Obituary ad un thrash metal moderno, quello bello pompato, ma che lascia trapelare tra i riff quel malsano sound infernale che tanta fortuna ha dato agli Slayer negli anni a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Tanti quindi sono i riferimenti che i Nostri mettono in gioco ad evidenziare più attitudine che personalità, elemento che invece andrebbe ricercato con puntigliosità, sopratutto da chi affronta una corrente stilistica oggigiorno sempre più inflazionata.
“Age of Vultures” invece propone ben poco. È un disco che scarseggia di idee, di melodia, è privo di sezioni soliste degne d’esser ricordate. È caratterizzato da ritmiche cadenzate, ma ridondanti. Le parti più accellerate cercano lo slancio, ma vanno sempre ad impattare col lato più groovy del loro modo di intendere la musica. Purtroppo però l’impatto è soft, troppo morbido e non riesce a conferire all’ascolto quell’istinto all’headbanging atteso dagli amanti del genere. Il songwriting è tanto, tanto prevedibile. Basti pensare che, sebbene il disco abbia una durata inferiore ai trenta minuti, tende ad annoiare parecchio (…ovviamente, de gustibus non est disputandum).
Ci permettiamo quindi di suggerire una revisione sostanziale dell’aspetto compositivo. Così non ci siamo! Punti di forza da mantenere? Sicuramente il cantato di Inês, ha il suo perché. È bello aggressivo! Le parti ritmiche più cadenzate sono un altro elemento azzeccato, in quanto apprezzabilmente oscure ed ‘evocative’. Infine, la scelta produttiva è un fiore all’occhiello del lavoro in studio. I suoni infatti sono ben calibrati e le chitarre ruggiscono come si deve, ben integrate nella pulizia che rende brillate il sound nel complesso. Da rivedere completamente la sezione ritmica più tirata e gli arrangiamenti alla chitarra che, al lato pratico, per ciò che qui si ascolta, risultano davvero scolatici. Infine, una maggior cura nella ricerca di pattern più ricchi alle pelli potrebbe giovare ad un aspetto compositivo, ci spiace dirlo, fin qui assai grossolano.

Nicola Furlan

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