Recensione: Agronomicon

Di Daniele D'Adamo - 29 Dicembre 2018 - 8:27
Agronomicon
Etichetta:
Genere: Grindcore 
Anno: 2018
Nazione:
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79

Il grindcore, fra i generi metal, non ha mai goduto di particolare attenzione da parte della critica specializzata e neppure da una buona frangia di fan. In apparenza, il suo approccio caotico alla questione, la sua monotonia nella fedeltà a un cliché povero di particolari, la sua attitudine votata alla furia demolitrice e basta, la sua attinenza a tutto ciò che sia dissonante, lo hanno relegato a un  segmento di nicchia.

Tutta apparenza.

Al contrario, formazioni quali i polacchi Antigama, giusto per nominare qualcuno che possa essere di esempio a tanti altri, dimostrano che il grindcore necessita di una notevole preparazione tecnica, di una ottima capacità compositiva e, fra i tanti, si presta a contaminazioni e intrusioni a volte dotte, come quella con il jazz, in una continua ricerca di elementi atti a fornire una costante spinta evoluzionistica. Aiutati, non da ultimo, da produzioni pulite, pressoché perfette per comprendere ogni passaggio, ogni accordo, ogni nota, anche nei momenti più concitati. Di ciò si può prenderne atto osservando quello che accade durante l’annuale festival ceco Obscene Extreme, in cui decine di gruppi battagliano fra loro sul palco mostrando, oltre a quelle sopra menzionate, capacità e serietà di livello professionale anche in sede live.

Ebbene, i norvegesi Beaten To Death fanno parte di questo insieme. C’è da evidenziare che essi hanno, in formazione, gente dal curriculum pesante, come Christian “Bartender”, batterista di parecchie formazioni di metal estremo fra cui fast blackster Tsjuder. Musicisti di talento ed esperienza i quali, messi assieme, hanno dato vita a un quartetto ad alto contenuto energetico, giunto oramai al quarto album in carriera, “Agronomicon”.

Come spesso accade i testi sono demenziali, altra peculiarità del grindcore, scritti ad hoc per ironizzare su tutto e tutti nell’intento di smorzare un pochino quella serietà musicale che, forse troppo spesso, ammorba le tematiche del metal. Ovviamente, come da definizione enciclopedica, le song sono di breve durata ma intense, spesse, concentrate, compresse.

Anders è il conducente del platter, con la sua caleidoscopica interpretazione di linee vocali ora screaming, ora growling, ora inhale ora semplicemente stentoree. Una poliedricità che non disorienta, poiché susseguente a un songwriting certamente studiato, e per bene, a tavolino. Inusuale per il grindcore, invece, l’utilizzo di due chitarre (Martin e Tommy), che però si rivela uno dei cavalli di battaglia del combo di Oslo. Potendo, esso, regalare alla parte solista un componente specifico atto a infilare, nell’intricatissimo rifferema tessuto dalle ritmiche, inserti melodici di tutto rispetto (sic!). Operazione rara anzi rarissima nel grindcore, che i Nostri eseguono con coraggio ottenendo risultati lusinghieri. Soprattutto in termini di stile che, così elaborato, assume un carattere di unicità, potendo esibire dei segni caratteristici che i colleghi non possiedono (‘Grind Korn’, ‘Gå, snuble, bli liggende’).

Tutto quanto non deve tuttavia ingannare: i Beaten To Death sono anzitutto una poderosa, devastante macchina guerra, i cui colpi, rappresentati dalle canzoni, non vanno mai a vuoto. Ci sono sfasci completi come ‘Dere er herved oppløst’, in cui i blast-beats sparati a velocità folle da Bartender straziano le carni in poltiglia. Ma, non appena l’atmosfera si fa rovente, insostenibile anche ai più addestrati appassionati della tipologia musica di cui trattasi (‘Agronomicon’), con frequenza ideale il ritmo cala improvvisamente per consentire alle due asce e al rombante basso di Mika di cucire le loro trame complesse e di difficile esecuzione ma, incredibilmente, accattivanti e piacevoli da ascoltare (‘Catch Twentyfvck’, ‘Bjørnstjerne Ibsen’).

Con questa continua intersezione fra momenti di pura allucinazione a digressioni melodiche (‘Extremely Run to the Hills’), si può affermare che i Beaten To Death abbiano apportato al grindcore quel quid in più che mancava, risultando perciò un gruppo innovativo a tutti gli effetti.

Purtroppo “Agronomicon” dura solo ventidue minuti, per cui tirando le somme, si resta con un po’ di amaro in bocca per ciò che sarebbe potuto essere ma che non è stato. Anche questo, però, è un segno distintivo del grindcore. Prendere o lasciare.

In questo caso, si consiglia di prendere.

Daniele “dani66” D’Adamo

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