Recensione: Ain’t Life Grand
Il progetto Slash’s Snakepit nasce nel 1994, nel periodo della prima stasi dei Guns n’ Roses dovuta ai contrasti fra Axl Rose e il resto dei Guns (in particolare Slash). Dissapori acuiti con la pubblicazione del controverso album di cover ”The Spaghetti Incident”, in cui è presente la traccia nascosta “Look At Your Game Girl”, canzone di Charles Manson che Axl pubblica nonostante l’avversione del resto della band.
Nella momentanea paralisi artistica dei GNR, due dei componenti, Slash e Matt Sorum, erano soliti ritrovarsi per delle jam session nello studio casalingo del chitarrista (il “The Snakepit” appunto, chiamato così per la ben nota passione dell’axeman per i serpenti) nell’intento di comporre nuovi pezzi per i Guns. Anche Gilby Clarke si aggiunse poi ai compagni, seguito tempo dopo da Duff McKagan, chiamato a contribuire alle parti di basso.
Il materiale prodotto venne tuttavia rifiutato da Axl Rose, inducendo Slash, con line-up differente rispetto all’inizio (degli ex Guns rimangono solo Clarke e Sorum, con Inez al basso ed Eric Dover alla voce), alla pubblicazione in proprio con il titolo di ”It’s five o’clock somewhere” e con il moniker Slash’s Snakepit (Slash’s viene aggiunto su proposta della casa discografica per avere maggior appeal discografico).
L’album oggetto della recensione è invece “Ain’t Life Grand”, il secondo e ultimo capitolo della saga Snakepit, che vede insieme all’immancabile chitarrista, Rod Jackson alla voce, Johnny Griparic al basso, alla batteria Matt Laug (Alice Cooper, Alanis Morissette, Vasco Rossi) e alla chitarra ritmica Ryan Roxie (Alice Cooper).
Partenza riservata a “Been There Lately”, un ben orchestrato pezzo dai riff aggressivi e dal sapore blueseggiante, con un refrain efficace ed una convincente prova della sezione ritmica. Ottimo lavoro di Slash sul solo, intermezzi tastieristici ben studiati e devastante Rod Jackson alla voce, capace di levigare il brano come “carta vetro” su un muro.
Per le sonorità è una traccia assimilabile al sound che adotteranno i Velvet Revolver in “Contraband” (escludendo le venature blues).
Segue “Just Like Anything”, intro lento che poi evolve in un mid-tempo dal sempre forte e presente sentore blues. Molto ricercati i refrain ma niente più. Solo nell’ultima parte del pezzo, si riscontra una decisa accelerazione, che tuttavia non innalza ulteriormente il discreto livello raggiunto; sempre positiva l’ugola calda e ruggente di Mr. Jackson. Terza traccia è la mediocre “Shine” a cavallo fra i richiami blues e uno sterile hard-rock. Carini gli effetti creati da Slash. “Mean Bone” viene introdotta da una voce femminile spazzata via dall’urlo animalesco del sempre egregio Jackson ; la canzone sovrasta la precedente grazie al frenetico e rapidissimo lavoro delle asce, coadiuvate dalla sezione ritmica veramente sugli scudi.
“Back To The Moment” è una canzoncina, una ballata da “insulina”, senza cuore, passione e per nulla sognante; ballata lontana un miglio dai capolavori “Don’t Cry” e “November Rain”.
Ecco poi la selvaggia “Life’s Sweet Drug” dai riff veloci e crudi, che sembra vagamente (molto vagamente) riecheggiare nella parte centrale un non so che di “Welcome to the Jungle”. La seguente, lunghissima “Serial Killer”, apre con un carillon per poi dare il via ad una discreta ballata innalzata da un buon solo di capitan Slash e dal camaleontismo vocale di Jackson prima dolce e suadente, poi blues e poi graffiante.
Seguono l’anonima ed inutile “The Truth” e la poco più che mediocre “Landslide”. La title track, “Ain’t Life Grand”, è un sensualissimo blues che ci trasporta, grazie all’ausilio del pianoforte e del sax, in un fumosissimo night-club dove occhi eccitati mirano giovani donzelle sgambettanti tra una coltre di fumo spessa come la qualità di questo pezzo. Immensa la prova di Jackson che colpisce come un calcio alle parti basse.
Accensione del motore quindi e poi giù velocissimi in pista con “Speed Parade”. Slash ripone il cilindro e indossa il casco e comincia a sfrecciare con la sua chitarra per tutta la gara (oops canzone). Chiude “The alien”, episodio dal ritmo sostenuto e arrabbiato in cui la band scarica addosso all’ascoltatore una massiccia dose di adrenalina.
“Ain’t Life Grand” è paragonabile ad una lattina (di birra naturalmente) aperta da un paio d’ore: è ancora percepibile l’aroma, ma il gusto è ormai divenuto irrimediabilmente “lento”. La qualità nella lattina (pardon, nel disco) s’intravede ma è parzialmente offuscata.
In definitiva sia nel project Snakepit che nei lavori del super-gruppo Velvet Revolver (per non parlare di discutibili partecipazioni con “artisti” italiani) si denota l’alta professionalità e la tecnica dei musicisti coinvolti in questo album. Sono però vistose le lacune di in un imbolsito songwriting che avvalora la tesi di chi sostiene che fosse Izzy Stradlin la vera mente dei GNR.
Un disco riuscito a metà, in cui l’unico vero vincitore risulta essere l’ottimo Jackson, singer incomprensibilmente ignorato e mai assoldato da qualche gruppo di alto livello.
Insomma, sinceramente da Slash ci si aspettava molto di più.
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Tracklist:
01. Been There Lately
02. Just Like Anything
03. Shine
04. Mean Bone
05. Back to the Moment
06. Life’s Sweet Drug
07. Serial Killer
08. The Truth
09. Landslide
10. Ain’t Life Grand
11. Speed Parade
12. The Alien
Line Up:
Rod Jackson – Voce
Slash – Chitarra
Ryan Roxie – Chitarra
Johnny Griparic – Basso
Matt Laug – Batteria