Recensione: Aisling

Di Daniele Balestrieri - 2 Aprile 2002 - 0:00
Aisling
Band: Aisling
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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73

Gli Aisling sono una band emergente del panorama italiano, e definiscono il loro genere “Pagan Metal“. Probabilmente sono ancora poco conosciuti, anche se questo loro primo album autoprodotto è stato registrato tra l’agosto e l’ottobre del 2001 a Trieste, patria fisica e spirituale dell’intera band. La cosa che offre molti spunti di riflessione è la chiara struttura di pensiero del loro lavoro, una qualità che caratterizza molti generi propri del nord Europa, come il black a tema (celtic, viking) e il folk metal. L’album è decisamente intriso di atmosfere celtiche, di cui le stesse canzoni sono portavoce (Duan Amhairghine, Tir Na n’Og), e lo stesso nome “Aisling” in irlandese significa “Visione”, e nelle leggende celtiche chi era preda di questa “Aisling” raccontava di vedere un essere denominato “speir-bhean”, spesso nelle forme di una donna eterea proveniente dal regno dei morti, che donava ai meritevoli le ispirazioni per le poesie e, appunto, le canzoni. Sembra che i sei componenti della band (Diego M. alla voce e ai cori, Diego B. alle chitarre acustiche e ai cori, Paolo V alle chitarre acustiche, Stefano P. al basso e ai cori, Alberto B. alle tastiere e ai cori e Paolo M. alla batteria) siano proprio stati pesantemente affetti da una “visione”, a giudicare dall’impegno e dall’immersione nei temi celtici alla base del loro lavoro e della loro filosofia.

Mi sento di voler incoraggiare questo orientamento delle band verso degli orizzonti più tematici, sono convinto che le band che abbiano qualcosa da dire oltre che qualcosa da urlare dovrebbero rappresentare il futuro del metal europeo. Per lo più molte band emergono attraverso il comune fiume della violenza, della guerra, della decadenza nichilista e del satanismo più estremo. E queste band rimarranno senza dubbio band di nicchia, in quanto è alla nicchia che si riferiscono, estremizzando troppo le sonorità e rifacendosi troppo alle band capostipiti del genere.

Vorrei a questo punto citare un piccolo passo scritto proprio di pugno dalla band, una esternazione che non si trova spesso nelle band emergenti nostrane:

“Agli albori del tempo la tribù celtica dei Carni Càtali fondò Trisste, da quel giorno la nostra città ha visto molte albe e molti tramonti, più volte ha cambiato il suo abito e ha ospitato molti popoli. La Bora, soffiando per secoli, ha portato con se sangue, lacrime, speranze, illusioni, tracce ormai svanite e sospese chissà dove… ora però, se qualcuno si ferma ad ascoltare, può ancora percepire il battito di un cuore sepolto da strati di rovine decadenti; ed è proprio sotto questo mondo fatto di apparenza che sta la fonte della vita di un’arcana e misteriosa “visione onirica”, capace di rigenerare lo spirito, di avvolgere i sensi come un filtro magico, di svelare alla mente nuovi orizzonti ed antiche emozioni. La speranza di poter provare ancora tali sensazioni sembrava essere svanita, persa nella vastità degli oceani e sempre più imprigionata nei meandri del tempo: lui passa, privandoci del calore e della vita stessa che sta perdendo ormai tutto il suo colore… ma è la consapevolezza di un ciclo che non avrà mai fine, il sostegno di un cuore che continuerà a pulsare e la fantasia, sempre pronta a farsi cullare dai suoi battiti, che ci permetteranno di vivere solamente questa visione e di vedere solamente questa nuova vita”.

A questo proposito ricordo una intervista a una band scandinava di black metal che aggredì in maniera abbastanza esplicita una band emergente di Napoli, in quanto un membro di questa band non aveva avuto parole molto lusinghiere per la loro musica. La band (di cui purtroppo non ricordo il nome) disse “ma che vogliono questi? La nostra musica è ispirata alle foreste, ai laghi, agli inverni, mentre la musica loro e di quelli come loro può solo ispirarsi alle distese di cemento e alla spazzatura). Parole senza dubbio pesanti che mi hanno lasciato con l’amaro in bocca… e se fosse per me inviterei gli Aisling al cospetto di tale band e ci farei scambiare quattro chiacchiere, a dimostrazione che non tutta la musica emergente è uguale, e che le generalizzazioni sono una dimostrazione di ignoranza.

L’album si dipana attraverso sette canzoni in inglese di chiara ispirazione celtica. Il tono generale è oscuro, introspettivo, pervaso da grande spiritualità e decisamente fatalista, una caratteristica molto comune alle civiltà pagane. La varietà è la chiave di volta dell’intero album, dall’intro strumentale alle ultime due canzoni, forse quelle più rappresentative. All’interno di ogni canzone è possibile trovare una gamma di espressioni musicali, che vanno dal pianoforte agli strumenti classici a corde, ai fiati e alle intromissioni prepotenti di riff quasi death velocissimi e dal ritmo incalzante, dovuto anche a una batteria che dimostra la propria supremazia proprio in “Tir Na n’Og”. Lo stesso genere metal viene scansato in molte occasioni, specie in “Sepulchral Council of the Beholders“, in cui un inizio molto duro lascia gradualmente il posto a una triste chitarra, con un coro decadente e una voce pulita, contrapposta alla voce principale, uno screaming abbastanza comune. La variazione prosegue di traccia in traccia, e in una “Duan Amhairghine” decisamente anomala, un coro degradante di voce maschile e femminile sotto una ricca strumentazione, che vuole probabilmente essere una intelligente citazione al reale Duan Amhairghine, una sfida tra Amhaighin e il fatato popolo degli antichi abitanti dell’Irlanda, i Tuatha Dé Danann, a colpi di canzoni, una celebrazione probabilmente del primo poema recitato sul suolo Irlandese, contrapposto al poema della creazione dal mare dell’Irlanda, proclamato da Amharighin dalla sua nave immersa nelle nebbie magiche del Velo. Ed è effettivamente la traduzione del poema celtico in inglese. La più interessante è, a mio giudizio, proprio la seguente “Crushing the Walls of Time“, che manifesta uno screaming ben formulato, un buon mix di strumenti (batterie, basso e chitarre ben congegnate), dei buoni cambi di tempo e una seconda parte “parlata” interessante sotto chitarra e violino, che lasciano posto allo screaming finale per una durata di circa sei minuti.

Questo gruppo è un ottimo esempio, seppur limitato, di una strada del metal troppo dimenticata dalle nostre parti ma che meriterebbe molto più spazio. Un metal che racconta storie, un metal che si mostra decadente in maniera atmosferica, sana, che non spinge al coito col demonio né tantomeno all’estinzione della specie umana. Una decadenza, comunque, resa vivace dal contrapporsi continuo di strumenti e stati d’animo. Personalmente sono comunque rimasto infastidito dal “cambio di discorso” musicale, che supera le mie barriere di gradimento e mi getta nella confusione. Troppi cambi non rendono giustizia a tutte le canzoni, perché è giusto secondo me mantenere un filo conduttore più o meno costante, quantomeno di tempi, in ogni canzone, affinché l’umore dell’ascoltatore non vari troppo e non lo confonda. La produzione del CD è buona, il libretto è ben fatto, forse il tutto ha un aspetto un po’ troppo “computeresco” per vantare un background così tradizionale, ma siamo ben al di sopra della media. La registrazione è un po’ sorda e gli strumenti hanno ancora un sound un po’ metallico, ma come inizio è certamente da promuovere, sia per intenti che per realizzazione generale. Le eccessive variazioni purtroppo non aiutano a inquadrare questo album, non si capisce se in futuro si tenderà verso il classico, o verso lo strumentale, o verso il black, certo è che inserire ogni forma strumentale non garantisce la formazione di un nucleo di affezionati di un certo tipo. Hanno degli ottimi esempi di successo come i Vintersorg, la cui maglietta non ho potuto non notare indosso a paolo v., quindi credo di immaginare che sappiano in che direzione possono muoversi, e la mia speranza è quella di vedere un prossimo album che tolga un po’ di carne dal fuoco e ne cuocia a perfezione la restante, continuando ad alimentare la vena mitologica che li contraddistingue.

Tracklist:

1) Through the eyes of cosmos (intro)
2) The Oracle of Dehumanisation
3) Sepulchral Council of the Beholders
4) Misanthropic Salvation
5) Duan Amhairghine
6) Crushing the Wall of Time
7) Tir Na n’Og (Forgotten Rites)

 

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