Recensione: Akròasis
LE ARMONIE DEL MONDO
L’armonizzazione delle cose, la formula universale per entrare in stretto contatto col mondo che ci circonda attraverso le sue vibrazioni. Già Pitagora a suo tempo, attraverso la creazione della Lambdoma, (tavola che sintetizza le teorie musica e matematiche mettendo in relazione musiche e numeri) aveva provato a trovare una chiave universale per la decodificazione del mondo, implementando le lezioni di Platone definite proprio Akròasis. Secoli dopo Hans Kayser, teorico tedesco fondatore della moderna armonicizzazione, ha ipoteticamente compreso quanto sia possibile creare uno apparecchio elettronico, che basandosi sulla lambdoma stessa, porti ad una creazione di frequenze curative naturali. Egli sosteneva che le qualità della musica fossero direttamente correlate alle quantità, cioè alle proporzioni matematiche tra le note. Sempre secondo Kayser ogni fenomeno sostanziale chimico, fisico, astronomico, architettonico, botanico e riguardante molte altre scienze e campi d’applicazione, si poteva ricondurre al funzionamento degli armonici. Il parallelo tra la forma di una foglia di un albero qualsiasi e l’ottava musicale era il punto di partenza per sostenere che le varie forme naturali essenziali (come i fiori) possano essere ricondotte a rapporti matematici, proprio come gli armonici musicali. La conoscenza perduta degli armonici, era per Kayser un modo per ricongiungere e coniugare la spiritualità e la scienza, perché crea un ponte tra materia ed anima.
Il sunto del tutto è dunque riscontrabile nella pura frequenza universale che collega ogni cosa al mondo, Akròasis (ακρόασις) pura, dove “ascoltare” non è più un semplice verbo ma una richiesta da parte della natura.
CHI FA DA SÈ, FA PER TRE
Cosmogenesis: L’evoluzione dell’universo, cover azzurra con forti colori che partono da esplosioni per generare il tutto.
Omnivium: L’illusione del creato, la dominazione del mondo per farne colonia umana; toni verdastri a simboleggiare il veleno, la rabbia, la malattia creata dall’uomo.
Akròasis: La comprensione, l’ascolto del mondo creato e la consapevolezza del tutto. Una cover arancione e rossa che lascia intravedere nello fondo i pianeti dei due album precedenti.
???: Il quarto album del grande concept che tratterà come tema l’apocalisse, la distruzione dell’universo, ultimo capito per chiudere un maestoso progetto.
Nessuno è un’isola, tutti bene o male han necessità di relazionarsi e comporre con altri esseri umani, che siano amici parenti o prettamente compagni di viaggio; la musica è un’avventura, un’esperienza che è impossibile da lasciare in silenzio. Steffen si è ritrovato solo alla conclusione di un lungo ciclo vitale, che ha portato gli Obscura dopo Omnivium, ad essere una grandissima incognita nel mondo metal contemporaneo: un ipotetico paradosso di Schrödinger. Raccontare la storia e le vicissitudini dietro non ha senso, non è questa la sede prestabilita, tutti si è a conoscenza dell’iter che ha portato la band a diventare una realtà completamente nuova, artefice del proprio destino. Probabilmente nessuno, se non i fans più devoti, credeva nelle potenzialità di questa nuova formazione; riuscire anche solo lontanamente ad avvicinarsi a due album quali Cosmogenesis e Omnivium è un impresa titanica e che piaccia o meno, l’intoccabilità di questi due concepimenti risulta ancora fuori bersaglio. Non tutto viene per nuocere e attraverso questo terzo passo di quattro, Kummerer è riuscito una volta per tutte ad esprimere il suo vero essere senza circondarsi da autori, che per quanto bravi, son sempre riusciti in una maniera o nell’altra a rubarsi la scena reciprocamente. Alla fine della recensione che si esprima un parere identico od opposto all’analisi in via di sviluppo, sarà impossibile non concordare su tale pensiero: questo quarto capitolo ufficiale è ad oggi il più personale, spontaneo e sincero step discografico mai composto da parte della band tedesca. Un grande masterplan, che come fatto notare qualche riga più sopra, comprende un album già in via di esecuzione che completerà il tutto, per donare al concept in essere, una visione ben più definita sul percorso costruttivo/distruttivo dell’entità Obscura. Un grande brainstorming che nato anni addietro non ha ancora raggiunto il culmine, riuscendo sfortunatamente oggi a visualizzare solamente un 66% periodico del totale, l’analisi dunque per quanto pragmatica dovrà essere una delucidazione su quanto si ha tra le mani ora e nulla più. Premesso ciò, andiamo gentilmente al paragrafo successivo.
LESS IS MORE… SOMETIMES
Impossibile paragonare al 100% gli Obscura di oggi con quell’entità, che attraverso una maledizione sovrannaturale, è riuscita a creare album che oggi in molti conoscono a memoria; ogni nuova uscita è formata da un collettivo, un’unione di intenti che si intrecciano e si interfacciano plasmandosi reciprocamente per un fine comune. Akròasis necessiterebbe di un track by track dove ogni dettaglio viene scannerizato e raccontato nei minimi dettagli, ma questa sede è solo un grande portale verso un vasto mondo che prevede le mie e le tue sensazioni più profonde che confluiscono in un grande unicum, fatto di esperienze di vita ed emozioni. Volenti o nolenti la musica è emozione, sentimento, un flusso che scorre tra le dita per arrivare ad uno strumento ignorante, che diventa intelligente nel momento stesso in cui lo si tocca con le falangi della mano, raccontando l’eternità. Evito dunque un’analisi troppo pragmatica, raccontando quelle che sono le percezioni e gli stimoli neuropsichici che vanno ad accendersi durante i molteplici ascolti.
La sfumatura che maggiormente si riscontra è una propensione ad una esponenziale linearità delle canzoni, seppur pare ironico, questa nuova fatica è la più omogenea tra quelle rilasciate ad oggi, la combustione perfetta che porta a minori cambi tempo continui, dediti a mere masturbazioni chitarristiche così idolatrate in un recente passato. Il combo ha pensato saggiamente ad ottenere più melodie e groove riuscendo ad inserire una dose tecnica, che seppur minore al passato, in grado di far impallidire il 90% delle band della scena contemporanea. Scritti impeccabili quali l’opener Sermon of the Seventh Sun, la Titletrack o Ten Sephiroth risultano vincenti sin dai primi ascolti facendo comprendere alla perfezione quanto sia elevato l’affiatamento tra i membri del gruppo; cambi di tempo, dilatazioni, clean e growl che si interscambio sino a diventare un grande ed immenso meltin’ pot fatto di stratificazioni sonore che oggi nessun riesce a replicare, l’arma vincente che porta i Tedeschi a diventare riconoscibili dopo cinque secondi che si è premuto play. La fortuna degli Obscura è quella di avere madre natura dalla loro, concedendogli una invidiabile capacità sensoriale che solo loro riescono a destreggiare alla perfezione (si parla di band in quanto tale perché riferirsi ai singoli non è cortese). Se anche le due Fractal Dimension e Perpetual Infinity risultano pressochè “standard” per i livelli qualitativi ai quali ci si interfaccia, sono le restati tracce a lasciare a bocca aperta, su piani certamente antagonisti ma sempre e comunque paralleli. Andiamo con ordine. The Monist è un mid tempo che no ti aspetti, posizionato in seconda base risulta uno schiacciasassi che attraverso una ritmica tribale riesce a far comprendere quanto ampie siano le vedute del gruppo, un mantra formato Death metal da applausi; il bridge a 2:34 è favoloso ma rientra in quelle pecche che verranno discusse tra poco. Ode to the Sun è un inno alla morte attraverso il sole; sostanzialmente la stragrande percentuale dell’universo è formata da buio, dall’anti materia che porta la luce a diventare importante per il gioco degli opposti; una canzone inversamente canonizzata, con chorus riusciti alla perfezione tanto epici quanto evocativi. Lenta quanto basta per diventare un perfetto brano da suona live a metà concerto.
Menzione a parte va riservata per Weltseele (anima del mondo), una suite così ambiziosa da far vibrare ogni appassionato di prog death che si rispetti. Bastano due millisecondi per incuriosire e provare a fare l’addizione Obscura + quindici minuti di suite = alzo le mani al cielo e lascio che il vortice mi inglobi. Impostata originariamente per essere una traccia da soli cinque minuti è stata plasmata e rimodellata per sette mesi dalla band sino a quando ha preso l’aspetto che oggi possiamo ritrovare in forma definitiva. Composta interamente da “Fountainhead” Weltseele è la massima espressione della band nel 2016, ha ogni tassello al suo posto; le orchestrazioni che prendono vita a 6:30 sono da strappalacrime, combinate con il parlato/susurrato a dispetto del classico growl, sono la sublimazione dei sensi, portando il tutto ad un livello di perfezione aurea al limite del divino. Ma come negli apprezzamenti alle belle ragazze, bisogna fermarsi perché se no si perde contatto con la realtà sbavando sul vuoto cosmico, e qui di belle fanciulle non v’è traccia (dal tuo lato dello schermo invece?). In sintesi è la migliore dell’intero lotto, il brano che innalza il valore complessivo senza il quale Akròasis parrebbe storpio o mancante di struttura ossea. L’apertura prospettica definitiva per future svolte compositive.
PERFEZIONE IMPERFETTA
Il mondo attraverso le sue armonie potrà essere perfetto agli occhi degli umani, ma anch’esso al suo interno ha delle imperfezioni macroscopiche. Akròasis si adagia su macro imperfezioni che non appaiono superficialmente agli occhi dei devoti; pur essendo prodotto a livelli maniacali, cotto a puntino per risultare cristallino, si può notare ascoltando certi passaggi il lavoro di pro-tool che incolla pezzi delle varie sessioni di registrazione quasi forzatamente. I giri di chitarra sono pressoché una evoluzione-involuzione delle passate uscite e non creano nulla di nuovo, seppur l’apparato tecnico sia stato snellito drasticamente risultano prive di mordete in alcuni momenti, fittizie e surreali. Il Basso fretless utopico dove lo mettiamo? Dov’è Thesseling? Aggiungiamo che esistono gli Alkaloid? Paragonare e denigrare solamente perché il nome fa la differenza, questo lo sappiamo tutti, è superficiale e da tipico italiano-medio ma se si da contro ad un’entità non si può salvare l’altra e viceversa… anche se sull’altro lato della strada la sostanza pesa, e parecchio. Necrophagist, The Faceless, Cynic e Death; quattro nomi che in tempi più o meno recenti hanno scritto già quello che è riscontrabile all’interno di Akròasis, con molta più passione e spontaneità. Probabilmente questo non era riscontrabile a molti nelle passate uscite, ma tanto dilungarsi non serve a nulla perché chi ha vissuto col paraocchi sino ad oggi di certo non li toglierà a febbraio 2016, si stà tanto comodi nel quieto vivere. Severo, cinico e indolore, un paragrafo per controbilanciare gli applausi svolti in precedenza, ora seguitemi all’ultimo step dove ci saluteremo.
AU REVOIR MES AMIS
Come chiudere questa lunga recensione al meglio senza rancori? Interfacciando la realtà delle cose su dati oggettivi e razionali, come è da sempre un album con su scritto Obscura. La terza parte del macroprogetto è una sfida nei confronti del passato, ottimi spunti che si accostano a soluzioni a volte scontate e vocals in certi momenti molto prevedibili; non è un disco brutto, non è sicuramente buttato nel marasma giusto per far vedere “non siamo morti”, ma questo è probabilmente l’inizio della fine. Se come dichiarato da Kummerer ,Weltseele è l’ingresso al quarto capitolo, ci sono ottime prospettive per il futuro altrimenti sarà un ennesimo riuso di idee passate, di un passato lontano che oggi trovano forme e consistenze migliori sotto differenti applicazioni.