Recensione: Al Insane… The (Re)Birth Of Abderrahmane
Sono passati tre anni da quel “Al Intihar” (debut-EP) che, in ambito underground, dimostrò che la prerogativa di suonare del buon death metal possa essere di chiunque, a patto che quest’ultimo sia animato da profonda passione e voglia di progredire. Caratteristiche insite senza ombra di dubbio in Redouane “Lelahel” Aouameur, mastermind dell’ensemble algerino Lelahell, e nei suoi compagni di avventura Nihil e SlaveBlaster.
La storia musicale di Lelahel, tuttavia, fonda le proprie radici nel 1993. Anno dal quale, in una terra arida non solo climaticamente ma anche artisticamente – riferendosi al metal estremo, ovviamente – , fra progetti vari senza farsi nemmeno mancare un’esperienza come one-man band, il Nostro è riuscito a raggiungere la soddisfazione di una produzione ufficiale. Incidendo cioè il debut-album “Al Insane… The (Re)Birth Of Abderrahmane” con la label statunitense Horror Pain Gore Death Productions.
Con ciò potendo affermare che i Lelahell combacino con uno step evolutivo se non massimo quasi, della carriera buon Redouane, a questo punto pienamente in grado di competere con i migliori esponenti del genere in ambito internazionale. Se “Al Intihar”, difatti, mostrava ancora qualche incertezza sulla corretta strada da intraprendere, “Al Insane… The (Re)Birth Of Abderrahmane” non lascia più alcun dubbio nel merito.
Sì, poiché i tre di Algeri hanno elaborato una sorta di death metal ‘purissimo’, enciclopedico nella precisione con la quale sono rispettati tutti i dettami fondamentali, nessuno escluso, della tipologia stilistica che definisce univocamente il death medesimo. Inteso quindi nella sua forma più classica, scevra da contaminazioni, priva di eccessive complicazioni. Chiaramente del tutto assente la melodia, è anche abbastanza lontano (ora) il richiamo all’old school.
Con ciò, tenendosi lontano dai tanti sottogeneri che infestano come parassiti la Regina Madre, cioè il ‘death metal’. Proprio per questo non sono molti, oggigiorno, gli act che suonino in maniera ‘incontaminata’ come i Lelahell. Giungendo a un risultato apparentemente antitetico nei suoi contenuti, nel quale l’autenticità di un sound si trova in una realtà ove tale sound è praticamente inesistente. Peraltro, centrando in pieno quel mix che non può trascendere sia dal thrash, sia dal black. Inserendo nel contempo quel tocco di modernità necessario per non affogare nel calderone della vecchia scuola; al momento un po’ troppo affollato, a parere di chi scrive.
Molto buone le song, tutte inedite, davvero gustosamente indigeste da mandar giù. Da lasciar perdere le atmosfere da mille e una notte, insomma. I Lelahell picchiano duro, e fanno assai male. Blast-beats quando occorre, accelerazioni, pesantissimi rallentamenti, riff granitici e monumentali, lancinanti dissonanze… c’è tutto per mettere al tappeto chiunque. Compresa l’eccellente prova vocale di Aouameur, bravo a districarsi con sicurezza e disinvoltura nel growling e nello screaming, con una decisa predilezione per il primo.
Tanto di cappello, allora, al terzetto nordafricano per aver saputo perseguire un traguardo così importante (anche se sempre di underground si tratta) con così tanta determinazione. Giungere a dei simili livelli di qualità tecnico/artistica partendo dal… deserto non deve essere stato per niente facile. Assolutamente.
Daniele “dani66” D’Adamo
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