Recensione: Alaska
Brutali, esasperati, tecnici, melodici, sono solo alcune delle definizioni che possono venire in mente all’ascolto di una band come quella dei Between The Buried And Me. La band del North Carolina si è dimostrata capace, nel corso della sua quasi decennale carriera, di evolvere il proprio stile ad ogni nuova release, riuscendo a crearne uno ben definito che ha permesso loro di spiccare sulle numerose uscite all’interno del mercato metal.
Il disco di cui tratteremo in questa sede, denominato “Alaska”, rappresenta forse una delle vette più alte raggiunte fin’ora dal quintetto di Riley.
Cercando di riassumere lo stile dei Between The Buried And Me, al fine di rendere più chiaro ciò che si incontrerà all’ascolto del platter, si può definire la musica qui dentro contenuta come un mix di svariati generi più o meno attinenti al metal. Se la base infatti è quel metalcore, influenzato dal death tanto di moda ai giorni d’oggi, si nota come si affianchino numerose divagazioni jazz, progressive, venature blues, grind, e musica elettronica, il tutto contornato da accenti brutal, che incattiviscono maggiormente la proposta.
Le chitarre si presentano pertanto ricche di distorsioni, con riff potenti, rocciosi, capaci di essere complessi e allo stesso tempo dannatamente efficaci. A questi si affiancano i soli di gran gusto, che richiamano alla mente band di culto quali Atheist, Cynic o i migliori Pestilence, ma anche parti più vicine al jazz rock (“Backwards Mountain” ne è forse l’esempio più lampante), che contribuiscono ad arricchire un sound già di per se ricco.
Per quanto riguarda il reparto ritmico il duo Briggs/Richardson, rispettivamente basso e batteria, si diletta nello svolgere un lavoro assolutamente fuori dall’ordinario. I continui cambi di tempo, le parti soliste, aiutano a sostenere il lavoro degli membri, con fantasia e quel tocco di follia che non guasta.
Ottimo il lavoro svolto dietro al microfono e alle tastiere da Tommy Rogers, dotato di una voce camaleontica e duttile, che passa con estrema disinvoltura da gutturali growl, ad acidi scream, per approdare a dolcissime e delicate clean vocals. Il timbro vocale è per di più assolutamente originale e gradevole e capace ad adattarsi ad ogni situazione.
I brani migliori presenti all’interno del disco? Difficile dirlo. A loro modo, infatti, ogni canzone presenta finezze strumentali, melodie azzecatissime, soluzioni folli ma geniali. Ed ecco così che scegliere tra il progressive/death di “All Bodies”, brano particolarmente aggressivo che mette in risalto da subito le capacità tecnico-compositive della band, o il mathcore di brani come la title-track (di cui è stato girato anche un videoclip) o “Autodidact”, ed ancora il cyber-grind di “Robotrunner” o il progressive iper-sperimentale della strumentale “Medicine Wheel” diventa davvero impossibile.
Per concludere, “Alaska” è uno di quei dischi che davvero sanno colpire l’ascoltatore, non solo perché dotato di canzoni affascinanti, suonate da grandissimi professionisti, ma anche perché riesce nel suo piccolo ad aggiungere qualcosa di realmente originale all’interno dell’intera scena metal.
Ottime produzione e registrazione, cristalline ed in grado di rendere i suoni potenti il giusto, ma anche il songwriting, che mostra, a dispetto della giovanissima età media del gruppo, una maturità fuori dal comune.
Sembra che non ci sia altro da dover aggiungere, se non raccomandare l’ascolto all’intero pubblico metal, poiché questo è uno di quegli album capace di accontentare davvero tutti, dall’ascoltatore più duro e puro, a quello più smaliziato ed in cerca di qualcosa di nuovo.
Emanuele Calderone
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Tracklist:
01.All Bodies
02.Alaska
03.Croakies And Boatshoes
04.Selkies: The Endless Obsession
05.Breath In, Breath Out
06.Roboturner
07.Backwards Marathon
08.Medicine Wheels
09.The Primer
10.Autodidact
11.Laser Speed
