Recensione: Alchemy Of Souls. Part I

Di Carlo Passa - 6 Novembre 2020 - 12:15
Alchemy Of Souls. Part I
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2020
Nazione:
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81

Avevamo sentito parlare recentemente dei Lords of Black soprattutto in merito all’abbandono della band da parte di Ronnie ‘prezzemolino’ Romero, tanto subissato dagli impegni da non potersi più dedicare a tempo pieno alla madre patria musicale. La notizia non giungeva indolore, se è vero che il sound della band spagnola trovava la propria ragione e, soprattuto, riconoscibilità proprio nel bell’impasto hard-heavy creato dalla mano di Tony Hernando e dalla voce di Romero. Per carità, i candidati alla successione, messi anche alla prova live nel corso del 2019, erano stati nomi di tutto rispetto, quali sono Diego Valdes (Dream Child) e Dino Jelusick (Animal Drive). Ma è innegabile che nel cuore dei fan la Voce dei Lords of Black sempre sarebbe stata quella di Ronnie Romero; il quale, forse senza troppo sorprendere, alla fine ha deciso di tornare all’ovile di Tony e prestare nuovamente la propria ugola ai pezzi di questo nuovo Alchemy of Souls, il cui sottotitolo (Part I) fa presagire che la collaborazione sia destinata a durare.
Eccoci dunque al cospetto del nuovo disco dei Lords of Black ‘regolari’. E se non ci sono sorprese dietro il microfono e le sei corde piccole, va detto che neppure ce ne sono nella musica. Certo, non è necessariamente un male: la qualità delle composizioni, piene di rimandi ai soliti numi tutelari Masterplan e Kamelot, resta alta e, soprattutto, la personalità distintiva degli spagnoli s’impone in modo cristallino, pregio non da poco se si suona un genere musicale tanto usato e abusato. Eppure tutto questo prelude a un “ma”: Alchemy of Souls è bello, splendidamente suonato, scritto e cantato, ma a tratti manca di sorprendere l’ascoltatore, offrendogli quella dinamica varietà che, invece, aveva fatto grande il predecessore Icons of the New Days.
Siamo chiari: non sono difetti esiziali, perché il disco scorre che è un piacere. Ma (eccolo ancora il “ma”) può permetterselo più in virtù dell’appassionata voglia di esaltarsi del metallaro amante di questi suoni che non della reale qualità di scrittura dei pezzi.
Ciò detto, anche il recensore è un metallaro e non può esimersi dall’alzare le corna al cielo durante il ritornello tanto heavy-power di Dying To Live Again; o fare air-guitar davanti al riff metallosissimo di Into The Black, che ha una strofa davvero tanto Masterplan, evocati esplicitamente anche nel giro iniziale di Deliverance Lost.
Più tipicamente Lords of Black è la buona Alchemy, forte di un ritornello certo canonico ma ben confezionato, mentre in Brightest Star Ronnie Romero tributa il proprio mentore e quasi omonimo Ronnie James Dio con un mid-tempo pesante e atmosferico.
Closer To Your Fall ha un riff un po’ Symphony X, mentre strofa, bridge e ritornello richiamano l’heavy più commerciale degli anni ottanta: il risultato è un pezzo di qualità, ma che suona più come un valido esercizio di stile che non una composizione veramente incisiva.
Un dolce piano sostiene il lamento della chitarra di Tony Hernando in apertura di Shadows Kill Twice, che poi si trasforma in un brano power che tenta di variare sul consueto canovaccio con una bella sezione centrale lenta dove il chitarrista regala uno dei migliori assolo del disco.
Segue Disease In Disguise e avrete tutto quello che chiedete ai Lords of Black: riff cantabile, ritmo saltellante, Dio tra le righe e atmosfere maestose e teatrali. Insomma: heavy metal. Può bastare. E se ancora non bastasse, ecco Tides Of Blood, che pesca a piene mani dai Black Sabbath di Mob Rules o Headless Cross: e, va ammesso, lo fa davvero alla grande, dimostrando forse che i Lords of Black rendono al meglio nei tempi cadenzati.
La title-track è un opus magnum di dieci minuti, che rappresenta il momento più alto di tutto il disco. Si apre con una serie di arpeggi di Tony Hernando debitori delle sue origini latine, per poi offire un riff pesante che scaturisce in un ritornello di crescente drammaticità, straordinariamente interpretato da Ronnie Romero. Eco degli Iron Maiden più epici si alternano alle atmosfere più teatrali dei Kamelot per un pezzo che riesce a reggere la propria durata senza mai annoiare e, anzi, stupendo a ogni nuovo ascolto, in virtù di motivati cambi d’atmosfera che la band sa trattare come materia viva e, finalmente, dinamica. Alchemy Of Souls è la conferma che, pur rendendo ottimamente anche nei pezzi più ‘facili’ e veloci, è la dimensione atmosferica e lenta, oltre che vagamente progressiva, a rappresentare il vero valore aggiunto dei Lords of Black. E che assolo ci regala Tony Hernando! Che calore ci urla in faccia Ronnie Romero!
Infine, You Came To Me è un breve pezzo per voce e piano più mirato ad ostentare le capacità di Romero che non ad aggiungere qualcosa di veramente concreto.
Se vi piacciono i Lords of Black, avrete già ascoltato e acquistato Alchemy Of Souls: e non ne sarete rimasti delusi. Se invece ne avete sentito spesso parlare ma non vi siete mai affacciati al loro mondo, qui ne troverete un buon Bignami, che certo vi piacerà. Personalmemte trovo più meritevole di lodi il precedente Icons of the New Days, ma non posso negare che Alchemy of Souls sia un gran bel prodotto, confezionato da una band matura e consapevole della propria solidità. Gli si può perdonare certi momenti non del tutto azzeccati proprio perché minoritari rispetto a quelli oggettivamente esaltanti. E, alla fine, sappiamo che sempre forte batterà il cuore hard & heavy fino a quando s’incarnerà in band come i Lords of Black.

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