Recensione: Alkahest [Reissue 2013]

Di Stefano Ricetti - 1 Agosto 2013 - 0:10
Alkahest [Reissue 2013]
Band: Paul Chain
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
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83

Con Alkahest del 1995 si chiude il cerchio delle cinque reissue operate quest’anno dalla Minotauro nei confronti di alcuni lavori passati da parte di Paul Chain. Le altre, già recensite su questi schermi, sono, nell’ordine: Detaching from Satan, In the Darkness, Life and Death e Whited Sepulchres. Anche in questo caso la riedizione remaster in sole 500 copie si presenta in formato mini-Lp, nel senso che, nonostante si tratti di un Cd a tutti gli effetti, la confezione che lo accompagna è in pratica quella di un vinile, sebbene in miniatura. Oltre all’alloggiamento del dischetto ottico in cellophane sagomato, Alkahest offre un cartonato apribile a due ante, il flyier di presentazione del disco con la foto di Lee Dorrian e Paul Chain, un’ulteriore custodia interna ove è riportata su di un lato la copertina della fanzine Paul Chain Official Fan Club del novembre 1996 mentre sull’altro campeggiano vari scatti dei due protagonisti, dei quali uno insieme con Sandra Silver. Il tutto si completa della costina esterna per il posizionamento nella rastrelliera e di un foglio 23×35 centimetri con le immagini dei musicisti impegnati nella line-up, i testi dei pezzi interpretati da Lee Dorrian abbinati a dei disegni e una mini biografia di Paul Chain.

Cenni di storia: a metà anni Novanta il cammino del polistrumentista pesarese e quello del leader dei Cathedral si incrociò ufficialmente, partorendo uno dei dischi più apprezzati a moniker Paul Chain di tutti i tempi. Alkahest vide la luce dopo Dies Irae del 1994, per quanto attiene la carriera dell’italiano, mentre andò a piazzarsi fra The Ethereal Mirror e Carnival Bizarre nei riguardi del combo di stanza a Coventry, indi in uno dei momenti aurei della cammino degli inglesi. Da sempre attratto dai catacombali Death SS e subito dopo dalle varie incarnazioni soliste di Paul Chain, il cantante del gruppo albionico più che volentieri si mise a comporre insieme con una delle persone che avevano influenzato il suo percorso artistico. Questo per far capire quanto fossero considerati oltre frontiera dei lavori che in Italia purtroppo non andarono mai al di là dell’interesse dei veri cultori, seppur numerosi. Esterofilia tout court, male che da sempre affligge il mercato tricolore.

Alkahest – dedicato allo scomparso Aldo Polverari – fu il parto di questo Clash of the Titans fra Signori delle Tenebre, che per l’occasione si servirono di altri artisti quali Lux Spitfire (batteria), Fabrice Francese (basso), Sandra Silver (Synth), Erik Lumen (batteria), Paul Dark (chitarra acustica), Andrea Seki (liuto), Nembo (cimbali), Mario “Broz” Mariani (tastiere), Robert Jacomucci (basso) e Andy Rosati (tastiere). 

Musicalmente il disco si dimena all’interno delle trame Doom successive all’ubriacatura Black Sabbath degli anni Settanta, senza però limitare il proprio raggio d’azione a quel tipo di sonorità, ma spaziando anche in altri ambiti, quindi in linea con tutto quanto prodotto da Paul Chain, artista difficilmente inscrivibile a qualsivoglia etichettatura. I primi cinque brani vedono alla voce l’uomo di Pesaro, gli ultimi quattro Lee Dorrian.   

Roses of Winter mesce al meglio la lezione dei ‘Sabbath con quel gusto latino che permette anche ai pezzi Heavy Doom di restare nella capoccia grazie a un songwriting sopraffino. Molto più sepolcrale Living Today, con Paul Chain in versione lamentosa, seppur sempre sulla scia dei Maestri di Birmingham. A seguire la marziale Sand Glass, tanto minacciosa quanto ariosa in alcuni passaggi ad hoc, refrain compreso. Breve assolo killer per intensità.    

Gothic Dreams in Three Water per un minuto e mezzo, poi tuffo nel passato di marca Paul Chain da parte dello stesso Paul Chain, a segnare uno degli highlight di Alkahest, anche per via della sua interpretazione vocale malata. Aria di Scozia all’inizio di Reality poi un riffone a la Tony Iommi rompe l’incantesimo consegnando un ulteriore episodio nel quale la durezza della chitarra si scontra con una angosciante melodia di fondo.  

Voyage to Hell – reprise da Detaching from Satan – parrebbe essere stata scritta per un film horror, con la voce acida di Lee Dorrian a menare le danze, a metà fra il simil-tribale e il classic-Doom. Static End è sorretta ancora una volta da sciabolate nere, poi è il mood dei Cathedral a impossessarsi del brano.

Lake Without Water è stupendamente rock-psichedelica, basta chiudere gli occhi e ci si ritrova in lande indefinite, quantomeno finché la voce del cantante dei Cathedral, per l’occasione sussurrata, ci risveglia dal sogno, scomodando i maestosi Led Zeppelin, nella loro accezione che più sa di zolfo. Misticismo piuttosto che ipnosi benefica allo stato puro, in base alla sensibilità di ognuno.   

Chitarroni come mannaie in Sepulchral Life, una nenia rotta da una accelerata improvvisa che dopo otto minuti e mezzo si addormenta su se stessa. Vuoto di dieci minuti e poi monologo finale poetico condotto da Lee Dorrian, nella propria accezione più cavernosa.

ALKAHEST è: dall’arabo Il solvente universale dell’alchimia e, nel misticismo, rappresenta il Sé Superiore. Quando l’uomo materiale si ricongiunge con l’uomo divino il corpo umano ed i suoi attributi vengono infatti dissolti nella loro essenza primigenia [cit.].

Alkahest: disco sicuramente da (ri)scoprire.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

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