Recensione: All Dead Here

Di Gaetano Loffredo - 12 Maggio 2005 - 0:00
All Dead Here
Band: Morgul
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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80

Morgul, Valle di Morgul, Valle della morte vivente… Luogo spettrale delle terre di mezzo che non ha nulla a che vedere con le liriche sviscerate da Jack D. Ripper nei pamphlet allegati ai suoi capolavori i quali, si basano fondamentalmente su sinfonie riconducibili al cinema horror coadiuvate dall’irruenza e dalla tenebrosità degli artefatti di stampo black metal.
Morgul proviene dalle lande norvegesi e la sua è una one-man band a causa del prematuro abbandono del drummer Hex che non si è sentito in grado di proseguire l’infausto e calignoso cammino all’interno dei meandri mentali costruiti da Jack, meandri che rimandano all’ipocondria di un uomo che fa della paura l’arma impropria per sconfiggere l’inquietudine, il panico e l’angoscia.

Ciò che mi stupisce e che negli anni mi ha convinto sempre più, sono la perizia ed il gusto coi quali l’artista scandinavo si appresta ad eseguire tutti i passaggi strumentali e soprattutto l’attitudine perniciosa e perversa che abbonda negli inserti di vero violino suonati dal Maestro Pete Johansen, sostenuto ed aiutato da Tom Cuper dietro le pelli.
Gli effetti e gli arrangiamenti di All dead Here riconducono ineluttabilmente ad una dimensione oscura ed impenetrabile, sospetta ed ambigua, arcana ed imperscrutabile; una situazione legata agli avversi pensieri di un uomo che fa trasparire, dai testi che scrive, una forma selvaggia di misantropia, inneggiando ed esaltando più e più volte canti blasfemi e totalmente miscredenti.

Mi permetto di dissentire categoricamente sul messaggio finale del disco in questione ma, riconosco con estrema lucidità il valore musicale intriso su All dead Here, a partire dalla lodevole introduzione di violino che apre a The Mask of Sanity, stravagante intruglio apprensivo pregno di atmosfere oniriche riconducibili alla penna di E.A. Poe.
L’espressività delle molteplici tracce vocali sovrapposte l’una all’altra, riescono a dispensare una forma ed un contenuto di forte spessore che rendono The Need to Kill un’apoteosi di violenza e cattiveria inferiori solamente alla successiva All Dead Here, vero capolavoro di un album nel quale non riesco a trovare pecche di sorta e che difficilmente può essere giudicato nero su bianco ma che ha solo bisogno di essere corteggiato ed apprezzato minuziosamente nota dopo nota, brano dopo brano.
Lo spartito di pianoforte eseguito su Sanctus Perversum è l’ultima e squisita raffinatezza che non posso non mettere in risalto, asse portante dell’intera quarta traccia che trabocca stile da tutti i pori.
Posso concludere all’esatta metà del percorso il track by track riservato a questo disco, venti minuti che sono sufficienti per eleggerlo oscura ed essenziale perla per chi ama contesti di questo tipo, per chi ha bisogno di sentirsi a disagio per dimostrare a se stesso di essere abbastanza forte per superarlo.

La discografia di Morgul consta di 5 episodi, due dei quali Lost in Shadows Grey e Parody of the Mass non facilmente reperibili e The Horror Grandeur (fino ad oggi capolavoro imperdibile) e Sketch of a Supposed Murderer pubblicati da Century Media e di conseguenza facilmente raggiungibili.
Il quinto tassello è questo All Dead Here che non ha bisogno di parole aggiuntive e che consiglio a tutti coloro che si vogliono avvicinare a qualcosa di realmente misterioso ed orrorifico anche perché, resto perfettamente conscio per poter affermare che la paura passa anche da qui…

Gaetano “Knightrider” Loffredo

Tracklist:
01.Intro – The Mask of Sanity
02.The Need to Kill
03.All Dead Here
04.Sanctus Perversum
05.Hategrinder
06.Shakled
07.Empty
08.Outro

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