Recensione: All In
Domande secche: a chi può piacere un album del genere? Ma soprattutto, quale può essere la sua utilità?
Facciamo un passo indietro con due righe di note biografiche.
Svizzero di nascita nonostante il nome americaneggiante, Mark Sweeney è piuttosto conosciuto all’interno della comunità hard-rockettara per essere il benemerito frontman degli elvetici Crystal Ball, gruppo forse non classificabile tra i grandissimi interpreti del settore, ma nondimeno, avvalorato da una discreta fama e da una buona rispettabilità, costruita tramite la realizzazione di dischi piacevoli e, solitamente, dal livello più che valido.
Già ascoltato in veste solista qualche anno fa in occasione del positivo esordio – “Slow Food” (2007) – il singer svizzero ci riprova, sfruttando uno slogan pokeristico, divenuto frase d’uso comune, per dare impulso ad una nuova avventura musicale, nelle intenzioni, orientata verso le medesime coordinate del discreto predecessore.
Raramente un titolo come “All In”, è parso più azzeccato per un album di un musicista rock: una scommessa dal sapore del “tutto o niente” che, ne va dato atto, tenta di mettere in gioco credibilità artistica e bravura compositiva alla ricerca di quello che per molti è destinato a rimanere un miraggio irraggiungibile, ovvero il tanto agognato e scivoloso successo commerciale.
Sugli esiti vincenti dell’azzardo e sul buon risultato della scommessa, permettiamoci tuttavia di sollevare qualche “importante” dubbio.
Impostato come una raccolta di brani dalle tonalità iper soffuse e per lo più smorzate, il cd annoia, ben di rado cattura con intuizioni realmente accattivanti, ed annega sin dalle prime battute in un baratro creativo a tratti imbarazzante, impoverito da una statica e farraginosa ricerca di melodie svenevoli e prive di brio.
Erede svizzero di tanti eroi sanremesi, Sweeney vorrebbe forse accostare il proprio songwriting a quello dei più “recenti” Bon Jovi e Bryan Adams, riuscendoci purtroppo, solo nei risvolti meno interessanti della miscela.
Non tutto negativo ad ogni modo: produzione di gran classe ed eccellente profondità dei suoni sono punti di merito ascrivibili all’attento lavoro di una vecchia volpe come Michael Voss; un paio di canzoni scorrevoli come il singolo “Line Of Fire” e “Gimme a Sign”, (guarda caso, tra i pochi momenti dotati di dinamismo), aiutano a ridestarsi dal torpore repentino maturato con il passaggio di nenie tediose come “Why Do You Hate Me”, “Leave It All Behind” e “Stare At The Sun”, e la presenza dei soliti, immancabili, ospiti di lusso (Bruce Kulick, Jorg Michael, Stefan Kaufmann e Robin Beck), arricchisce un panorama formalmente più che buono.
Nulla da eccepire poi, sulla prestazione vocale di Mr. Sweeney, positiva in ogni frangente.
Mancano le canzoni, unico grande problema di un disco statico e “lento”, dalla struttura tecnica inattaccabile ma, purtroppo, dallo sbadiglio facile.
Per ritornare alle due domande d’apertura, quindi, proviamo ad abbozzare qualche risposta.
L’utilità è evidente: la ricerca di una fascia d’ascoltatori più ampia e meno ricercata.
Sul chi possa gradire un album come “All In” gli interrogativi invece permangono. Gli affezionati della melodia da “classifica” non si lasceranno di certo attrarre, mentre gli amanti più “tradizionali” del rock melodico – westcoastiano se volete – “vecchia scuola”, aborriranno senza pietà o si addormenteranno al quinto brano…
Insomma, il piatto piange Mark!
Discutine sul forum nella sezione Hard rock / AOR!
Tracklist:
01. Line Of Fire
02. Why Do You Hate Me
03. Still Alive
04. Gimme A Sign
05. Leave It All Behind
06. Sinner
07. Another Day
08. Stare At The Sun
09. Too Late
10. Moments
11. Chance
12. Demons (Bonus Track)