Recensione: Alloy
Dopo ben cinque anni di silenzio li credevamo dispersi, ma gli Skepticism hanno smentito le voci che li davano per sciolti con un nuovo album: Alloy. E’ pur vero che i funerei finlandesi non sono mai stati particolarmente prolifici (quattro full-length nel giro di una quindicina d’anni, più quattro EP), così com’è vero che non è la prima volta che la band lascia trascorrere così tanto tempo fra un disco e l’altro, ma un’assenza così prolungata, senza nemmeno il tradizionale EP d’intermezzo a smuovere le acque, aveva destato la preoccupazione di più di un appassionato di doom metal. D’altra parte stiamo parlando degli Skepticism, un gruppo che riveste un’importanza enorme per il funeral doom, essendo stati fra i pionieri assoluti di questa specifica branca, ed essendo contraddistinti da un sound decisamente unico; così personale che, dopo aver contribuito a definire gli stilemi del genere con pietre miliari come Stormcrowfleet e Lead & Aether, il terzo full-length Farmakon si allontanava dai tipici canoni del funeral doom per forgiare uno stile ancor più caratteristico ed originale. Dopo l’annuncio dell’imminente arrivo di un nuovo album le aspettative erano alle stelle, e gli Skepticism – com’era prevedibile – hanno saputo tenere alto il loro nome.
Alloy, rispetto al precedente Farmakon, ritorna alle basi del funeral doom, mettendo da parte quegli sprazzi di eclettismo per far posto ad una monoliticità più tipica. Chi mastica pane e doom non ha certo bisogno che lo stile degli Skepticism gli venga illustrato, ma per chi si avvicina ora a questo genere, gli basti sapere che la band finlandese è stata fra i primi movers della scena funeral, e che se oggi le caratteristiche di questo genere sono così ben definite, è anche grazie alle sperimentazioni di innovatori come loro. Ciò che ha sempre contraddistinto gli Skepticism è l’aura sacrale e ricca di pathos di cui è pregna la loro musica: la lentezza dei tempi e l’oppressività del sound sono messe al servizio di un’atmosfera perennemente funerea, imponente, che avvolge l’ascoltatore fra le torbide melodie di chitarre pesantissime e l’onnipresente abbraccio di un freddo organo che tesse trame ora più solenni, ora più tranquille. Il nuovo album ci riconsegna uno stile – incredibile ma vero – più accessibile rispetto al passato: lentezza meno ossessiva, melodie più spiccate, ed atmosfere più ariose fanno di Alloy il platter meno ostico della discografia degli Skepticism. Meno ostico, ma certamente non meno bello: impossibile non venir rapiti dalle raggelanti atmosfere di una March October, dal lavoro chitarristico di una Antimony, o dalla maestosità di una Pendulum. Da segnalare anche qualche piccola modifica al growl, leggermente meno profondo che in passato, e più aperto a variazioni tonali che donano ancor maggiore spessore alla prestazione vocale.
Facendo un paragone diretto col suo predecessore Farmakon, Alloy purtroppo non ne esce vincitore: la vena più sperimentale e la maggior varietà di quell’album conferivano al sound degli Skepticism un alone di irripetibilità che invece non è presente nel maggior tradizionalismo di questa loro ultima fatica. Ciò non toglie, però, che Alloy si imponga con prepotenza come una delle migliori uscite doom del 2008, e che sia contraddistinto dall’eleganza e dalla forte personalità tipiche degli Skepticism. I maestri sono tornati per riaffermare la loro importanza come uno dei migliori gruppi funeral di sempre, e un album eccellente come Alloy non fa che cementificare la loro appartenenza all’olimpo del doom.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – The Arrival (06:38)
2 – March October (10:30)
3 – Antimony (08:46)
4 – The Curtain (05:48)
5 – Pendulum (09:13)
6 – Oars in the Dusk (06:22)