Recensione: Amateras
Se si vuole cercare qualcosa che sia un ibrido fra il melodic death metal e la musica techno, allora le soluzioni sono poche. Fra di esse, svettano i Blood Stained Child.
I giapponesi, infatti, vantano alle spalle un’esperienza di ventidue anni, condita da sei full-length, compreso quest’ultimo, “Amateras”, nonché da innumerevoli esibizioni live in giro per il Mondo.
Della formazione originale è sopravvissuta soltanto la chitarrista Ryu. Inoltre nel 2016 è uscito dalla line-up il cantante/bassista Ryo, membro fondatore ma anche elemento di spicco per via della sua classe sia in fase di songwriting, sia in quella esecutiva. Oltre ad altri avvicendamenti, invero piuttosto numerosi. Malgrado ciò, però, la band ha saputo mantenere nel tempo la propria identità, non snaturando mai, in sostanza, uno stile personale e innovativo. Il che non è poco, preso atto della menzionata girandola di artisti.
Stile che fonde in maniera perfetta due generi musicali eterogenei fra loro ma che, per il fatto di mantenere un equilibrio stabile in questo esercizio di simmetria, ha connotato fortemente il gruppo di Osaka sin dalle origini. “Amateras” giunge a otto anni di distanza da “εpsilon”, lavoro che ha il gusto di tricolore in quanto frutto della collaborazione dei Nostri con Ettore Rigotti, musicista e produttore torinese, talentuoso specialista in operazioni borderline.
Nonostante questo lasso di tempo, non indifferente, il quintetto nipponico riprende concretamente il filo del discorso da dove l’aveva lasciato. Specialmente per quanto concerne il mood, dallo spiccato flavour futuristico centrato su una visione multicolore che si potrebbe addirittura dire allegra. Assai diversa, anzi, contraria alla moda imperante che non vede altro che lugubri distopie, nella Terra che verrà. Insomma, un sound che rimanda a megalopoli illuminate da innumerevoli, caleidoscopici tabelloni pubblicitari.
Sound potente, imperioso, massiccio, a tratti violentissimo, come nella devastante opener-track ‘New Space Order’, ferale aggressione alla giugulare che non lascia scampo con le sue deflagrazioni di termonucleari blast-beats.
Le chitarre erigono giganteschi, granitici muri di suono, eretti pezzo per pezzo con la tecnica stoppata del palm-muting. Non mancando di ornarne la superficie con pregevoli assoli a volte dal sapore neoclassico, come da tradizione consolidata degli act provenienti dal Sol Levante (‘√BSC’). La sezione ritmica spinge all’impazzata, travolgendo tutto e tutti, senza far prigionieri. Non potendo non citare il furibondo growling di Sadew, eroico condottiero che fa letteralmente volare il gruppo grazie alle sue linee vocali elastiche e ondulatorie. Sì da addivenire a ritornelli clamorosamente orecchiabili, totalmente in antitesi alla durezza della parte strumentale. Ossimoro che prende forma definita e concreta grazie alla pressante presenza dell’elettronica (‘Lost Humanity’), che si assume in toto la responsabilità di tingere il sound nel suo complesso non mancando di proporre azzeccate orchestrazioni quando l’istinto compositivo lo richiede (‘Del-Sol 1.02’).
Le canzoni si susseguono con linearità e regolarità, mantenendo sempre intatto lo stile inventato nel lontano 1999. Intersecandole, anche, con i sapori fortemente caratterizzanti la tradizione musicale del Paese (‘EARTH’). Ciascun episodio è storia a sé ma inserito nella globalità di un’idea davvero interessante per la sua freschezza e originalità. I brani si rivelano tutti di buon livello, costruiti con cura e con indubbio talento realizzativo, poiché presentano tutti segni particolari che li distinguono con decisione gli uni dagli altri. Compresa l’hit ‘Love in Pulse’. Lasciando intatto il fattore sorpresa e, soprattutto, donando al platter una notevole longevità. Stupendo, giusto per citare un esempio, l’incipit techno di ‘皇’, che poi si svolge la sua essenza attraverso un incedere rapido e possente. Forse qualche traccia è meno esplosiva delle altre ma si tratta di una sensazione dovuta più alla soggettività di chi ascolta, che di un fatto certo.
Di certo una cosa c’è, invece. I Blood Stained Child sono un’ottima invenzione e “Amateras” un altrettanto, ottimo disco. Che non può mancare nella discografia di chi affronta il metal con approccio curioso e scevro da pregiudizi.
Daniele “dani66” D’Adamo