Recensione: Ambition

Di Fabio Vellata - 17 Febbraio 2006 - 0:00
Ambition
Band: Ambition
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
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78

Interessante modo di iniziare il 2006 per gli amanti del rock d’alta classe quello offerto dall’estemporaneo progetto di Joe Vana e Thom Griffin, artisti dal background musicale assolutamente DOC, che coadiuvati dalla presenza di qualche ospite illustre e grazie ai buoni uffici della sempre attenta Frontiers Records, lanciano sul mercato un ricco assaggio di AOR ad elevata gradazione di melodia ed eleganza.

Fondati nel 2002 a seguito dell’incontro tra Vana (leader dei Mecca) e Griffin (star del firmamento AOR nella ormai remota prima metà degli anni ottanta con i Trillion, band poco nota quanto valida) gli Ambition si propongono come formazione completamente inserita nei canoni più tipici e consolidati del genere e pertanto rispettosa di precise coordinate sia a livello stilistico sia in ambito di collaborazioni eccellenti: a conferma di queste peculiarità non è quindi infrequente imbattersi, durante l’ascolto del cd, in atmosfere mai troppo “focose”, descritte da suoni quanto possibile raffinati e pienamente definiti che fungono quale supporto ad una melodia di base, sempre molto evidente, su cui poggia tutto l’impianto dei brani, i quali, beneficiando di questi presupposti, praticamente mai lasciano spazio a complicazioni fini a se stesse e all’auto indulgenza, prediligendo piuttosto soluzioni del tutto armoniose e prive di asperità.
Rispettate inoltre come accennato, anche le tradizioni che impongono la presenza di qualche personaggio di richiamo all’interno del gruppo o in veste di compositore in grado di fungere da traino a livello di popolarità, ed eccoci serviti dunque con la presenza di un paio di nomi di rilievo sia tra i musicisti, con il solito Tommy Denader alla chitarra, che ormai ci aspettiamo di vedere di supporto anche ai Cugini di Campagna, tanto è elevato il numero delle sue collaborazioni, Fabrizio Grossi al basso e tastiere (già con Starbreaker e Vertigo) e Jean Michel Byron (ex singer dei Toto) che duetta con Griffin in un paio di tracce, sia tra i compositori, dove incontriamo principalmente Christian Wolff degli On The Rise e Brian LaBlanc dei Blanc Faces come firme di maggiore spicco.
Emergono da queste basi i dodici brani del cd, perennemente in bilico tra riferimenti ai Toto più lineari e qualche spunto che chiama in causa influenze più recenti identificabili negli Heartland e negli ottimi Steelhouse Lane di Mike Slamer; su tutto risalta con grande evidenza la ricerca fondamentale dell’amalgama sonora e la ricchezza dei particolari presenti nelle varie tracce, dando la sensazione, a volte piacevole, a volte un po’ più forzata e “costruita”, che assolutamente nulla in questo “Ambition” sia lasciato al caso.
Effettivamente belle e coinvolgenti le hooklines dell’iniziale “Hold On” e della elegantissima “Hypocrites”, probabilmente il pezzo migliore della serie, (è qui il riferimento principale agli Steelhouse Lane), interessanti le ariose atmosfere di “Hunger”, “Alone I Cry” (che personalmente ho ricollegato a qualche band maggiormente “commerciale” come Mike and The Mechanics o gli ultimi Genesis) e della notturna “All I Need”, divertente l’incedere scanzonato di “Make It Alright” e “Together”, e ben riuscita la conclusiva “Waiting In My Dreams” (cover dei Mr.Mister, fu il primo pezzo ad essere inciso dalla coppia Vana / Griffin nel 2002), mentre risultano leggermente scontate e banali “No wasted Moments” e “The Promise”, classici ed immancabili “lentoni” di cui a volte faremmo volentieri a meno, ma è comunque nella sua totalità che il disco risulta ascoltabile e foriero di positive sensazioni.

Tirando le somme sembra dunque di avere per le mani anche in questo caso un bell’esempio di brillante e robusto AOR, dove ogni aspetto, dalla produzione, (al solito scintillante e superbamente definita) al songwriting, fino all’esecuzione da parte di solidissimi artisti, è curato nei minimi dettagli a pieno vantaggio di una resa ampia e godibile, con buona pace degli affezionati del melodic rock che avranno sicuramente di che gioire.
Manca tuttavia una certa dose di spontaneità : in un prodotto così perfetto e “ragionato”, il rischio di risultare troppo “costruiti” è palese, ma tutto sommato il disco piace e si fa ascoltare in assoluta tranquillità, ed è questo l’aspetto che in fondo conta di più.

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