Recensione: American Circus
Il metal italiano gode di ottima salute ed è in continua evoluzione: uno stato di grazia che non può far altro che renderci orgogliosi e farci sentire secondi a nessuno.
Una competizione non più impari quindi nell’affollato business del settore, con etichette italiane che mostrano di saper lavorare molto bene direttamente sul territorio, attente nella ricerca di gruppi di talento,competitivi e determinati a sfruttare l’opportunità ottenuta con tanta fatica.
Questa piccola chiosa posta in apertura, è utile per introdurre la band oggetto della recensione: i Violet Gibson.
Provengono da Parma e sono nati artisticamente nel 2007. Hanno rilasciato la prima demo con il nome di “Last Vegas”, monicker sostituito con l’attuale Violet Gibson – prima di registrare il debut album – a causa di alcuni cambi di line up che hanno portato all’introduzione di due nuovi chitarristi.
L’attuale formazione è pertanto così composta: Matteo Brozzi al microfono, Gabriele Tassara e Giovanni Marchi alle chitarre, mentre Tony La Blera e Michelangelo Naldini compongono la sezione ritmica, rispettivamente al basso ed alla batteria.
“American Circus”, titolo del disco d’esordio, propone un band per niente alle prime armi, capace di sviluppare un songwriting interessante: abili a spaziare tra l’heavy-metal classico e l’hard rock tipicamente americano, i cinque musicisti propongono un mix veramente ben equilibrato, che attraverso un ascolto impegnato saprà alla lunga catturare l’attenzione dell’ascoltatore.
Come confermato dalle note biografiche , i Violet Gibson amano definire il loro sound in due parole molto semplici ed eloquenti: potenza e melodia.
Disamina quanto mai azzeccata: le tredici tracce che compongono questo debutto elargiscono grande energia e compattezza, unite a discreta versatilità e si piazzano in testa per non uscirne più. Un esordio che oltre a mettere in evidenzia buone doti, dichiara purtroppo anche alcune lacune dovute ad una certa timidezza, soprattutto nella prima parte dell’album. Un aspetto poi messo a regime nelle restanti parti del cd, ove la band riesce ad esprimere alla grande tutto il suo potenziale, concentrando proprio nei cosiddetti “titoli di coda” il meglio della produzione.
L’inizio del platter è affidato a “Go ahead”, un titolo che la dice lunga sull’intenzioni del gruppo di andare dritto all’obiettivo, senza nessuna esitazione.
In effetti le premesse non sono tutte confermate: il pezzo soffre di qualche battuta a vuoto di troppo, dovuta a quella timidezza citata in precedenza, unita ad una complessiva carenza di mordente.
Difetto che verrà limitato più avanti, ma che si presenta ancora con la title-track “American Circus”: un pezzo interessante, soprattutto grazie alla prova superlativa del singer che dona profondità alla linea melodica, ma che nulla può quando le idee sono poche e male utilizzate.
Si accende e si spegne subito ed è un peccato: la title-track, dovrebbe avere una funzione ben diversa, quella di calamitare al massimo l’attenzione e la curiosità dell’ascoltatore.
Fortunatamente i Violet Gibson con la successiva “Original Sinner” riprendono in mano il loro destino, sfornando un breve ma intenso episodio di pura scarica elettrica. Meno di tre minuti per dimostrare all’ascoltatore che “il meglio deve ancora venire”.
Il songwriting, ancora piuttosto nascosto, percorre delle linee guida ben precise, confermate con risultati stupefacenti nel proseguo dell’album. Parliamo quindi di hard rock ed Heavy-metal d’annata, che duellano tra riff graffianti e cambi di ritmo geniali.
Una gran bella boccata d’aria fresca.
Con “She Feels Alive” arriviamo poi al traguardo del primo lento.
Le atmosfere diventano soffuse e sognanti. Nonostante questo morbido strato di “leggerezza”,non ci sono cali di tensione, anzi la band è a suo agio e la voce di Matteo regna incontrastata.
Neanche il tempo di stropicciare gli occhi, dopo un dolce ed intrepido sogno, che la band ritorna a pestare di nuovo con la rivisitazione di un classico del passato in chiave moderna ed adrenalinica con la convincente “Superstion” di Stevie Wonder. Una geniale e ben riuscita rivisitazione di un grande successo proposto in versione più adrenalinica ed intrigante: un pezzo sicuramente ben eseguito dalla band e dal cantante Matteo Brozzi, un vero e proprio portento dietro al microfono.
Proseguendo, dalle prime note di “In my head”, emergono finalmente tutte le belle sensazioni percepite su questo giovane gruppo e confermate traccia dopo traccia. Le dinamiche del brano sono nevrotiche ma equilibrate, la melodia è ipnotica e nel ritornello ariosa e spensierata. Un bel cambio di registro in corsa, che esalta la versatilità del sound dei Violet Gibson.
La doppietta successiva composta da “Forget About The Rain” e “Game Of Sorrow”,ci propone l’anima più rock del quintetto. Due pezzi molto simili (anche dal punto di vista armonico) che presi singolarmente possono risultare piacevoli ma che alla distanza non incidono più di tanto sull’economia artistica della band emiliana.
Solo cinque canzoni, arrivati sin qui, separano dalla conclusione del disco. Il finale è, forse non a caso, il momento in cui vengono esaltati il carisma, la tecnica e la “faccia tosta” di questo giovane gruppo al debutto.
Si parte con “I Wish I Could”, episodio intenso, aggressivo, con un refrain ipnotico, penetrante ed incisivo. Suonato in maniera eccellente e cantato addirittura meglio è una una vera gemma preziosa: quello che potemmo definire, uno dei punti più alti di questo “American Circus”.
Si continua con “Parasite” ed i Violet Gibson fanno – incredibilmente – ancora meglio, mandando a referto il miglior brano dell’intero album. La partenza è di quelle che spiazzano: ritmo cadenzato pronto ad esplodere rabbioso, supportato da una sezione ritmica a dir poco incredibile. Un pezzo destinato a far breccia e a rivelarsi manifesto rappresentativo dell’intero disco.
Il tempo di rasserenarci lo spirito con il secondo lento del lotto, ovvero ”From The Moon To Your Feet”, ed i giochi si chiudono con un’altra doppietta letale, rappresentata da “Your Balls On Fire” e dalla conclusiva “The Reason To Be God”.
Inevitabile spendere qualche altra riga soprattutto su quest’ultima: un pezzo che, a differenza degli altri, avrà bisogno di qualche ascolto in più, non tanto per la sua complessità, ma proprio perché solo attraverso maggiori ascolti sarà davvero possibile comprenderne ed apprezzarne tutte le molteplici sfaccettature.
Un chiusura perfetta per questo debutto: una sorta di atto riassuntivo di tutto quanto ascoltato sino ad ora.Un bel colpo piazzato, per usare un gergo cestistico, “a fil di sirena”.
Cosa aggiungere quindi, in conclusione.
Il giovane gruppo emiliano va senza dubbio applaudito per le cose buone messe in evidenza: i Violet Gibson sono una band sfrontata,che non ha paura di sbagliare e crede nelle proprie qualità. In sottofondo, si percepiscono ancora alcuni passaggi dettati da un pelo d’inesperienza ed in qualche frangente il songwriting si prospetta ancora un po’ acerbo. Le premesse tuttavia, sono a dir poco grandiose.
Incitare dunque Brozzi e compari a proseguire con costanza, dedizione e fiducia su questa strada, appare pertanto pura formalità e conseguenza del tutto logica a quanto ascoltato ed apprezzato in questo interessante “American Circus”.
Discutine sul forum nella sezione dedictata all’Hard Rock Tricolore!
Tracklist:
01. Go Ahead
02. American Circus
03. Original Sinner
04. She Feels Alive
05. Superstition –Stevie Wonder Cover-
06. In My Head
07. Forget About The Rain
08. Game Of Sorrow
09. I Wish I Could
10. Parasite
11. From The Moon To Your Feet
12. Your Balls On Fire
13. The Reason To Be God
Line Up:
Matteo Brozzi – Vocals
Gabriele Tassara – Guitar
Giovanni Marchi – Guitar
Tony La Blera – Bass
Michelangelo Naldini – Drums