Recensione: Amidst the Ruins
![](https://www.truemetal.it/wp-content/themes/truemetal/assets/node_modules/svg-country-flags/png100px/gb.png)
Sesto full-length per i SAOR del Re del caledonian metal, Andy Marshall, che così definisce la propria musica. Cioè, un incrocio a parere di chi scrive perfetto fra il black e il folk metal.
“Amidst the Ruins“. Un titolo già per sé evocativo che, assieme al disegno di copertina, ha il compito di preparare lo spirito a meravigliose cavalcate nelle spoglie praterie della Scozia, inframmezzate da esplorazioni in ignote formazioni arcaiche realizzate in mezzo a rigogliose foreste grazie alla disposizione tanto misteriose quanto imponenti rocce.
Il lavoro compiuto da Marshall è enorme. Oltre all’azione di propria competenza (voce, tutti gli strumenti), per quest’album si è avvalso di alcuni professionisti specializzati nella manipolazione degli strumenti tipici dell’antica Caledonia come il flauto a fischietto, cornamusa, viola, violino e violoncello; oltre alla batteria di Carlos Vivas.
Il risultato di tutto ciò è intuitivo. I due generi suddetti s’intersecano fra loro dando vita a un’unica entità, volta a scatenare, fra le altre cose, visioni continue di paesaggi deserti, come più sopra descritto, nelle quali svolgere il proprio cammino mentale, raggiungendo vette d’immaginazione clamorose. Accompagnato, ed è qui che è insito il grande pregio di “Amidst the Ruins“, da una ridda di sentimenti e di magici singulti che rivoltano l’anima, l’accarezzano, la percuotono.
A questo proposito l’opener-track, che è anche la title-track, manifesta sin da subito con il raggelante intro, l’umore del disco, volto a una profonda malinconia, percepibile soprattutto quando il black prende il sopravvento sul resto del’LP. Marshall, con le sue harsh vocals, urla tutta la sua disperazione per, forse, un Mondo che non c’è più. La musica è piena, non c’è nemmeno un attimo i cui manchi una nota, un buco, un calo di tensione. Niente. Il platter srotola la sua storia senza intoppi, regalando la splendida raffigurazione acustica dei luoghi decantati da Marshall. Il quale, oltre al resto, si rivela anche un compositore eccezionale, baciato dalla genìa, perché solo a questi livelli di ispirazione si riesce a trasformare la realtà in qualcosa che vive nel cervello. La strumentazione folk, inoltre, regala al CD un’ulteriore spessore emotivo, travolgendo chi ascolta quando la melodia scala le più alte vette ove giace l’armonia degli dei.
Perché è così. Il connubio esistente fra le richiamate fogge artistiche, se elaborato con talento, può fare da spunto per la nascita di qualcosa di formidabile. Guarda caso “Amidst the Ruins“, le cui cinque suite lambiscono un’ora di mirabile sentire. Come detto, la quantità di musica che esso contiene è composta da mani dorate che fanno sì che sia impossibile annoiarsi anche dopo decine di ore di viaggio. E questo accade pure in “The Sylvan Embrace“, traccia acustica dai toni lievi, tristi, nobilitata dalla voce di Ella Zlotos, purtuttavia coerente con il resto dell’opera. Un modo per attivare ulteriormente la forza dei sogni.
Pure se trattasi di tradizioni diverse da quelle mediterranee, a questi stadi di qualità tecnico/artistica il black metal unitamente al folclore caratteristico di quella specifica terra non possono che generare stili unici, vigorosi, caleidoscopici, che a tratti assumono un valore anche lisergico. È sufficiente socchiudere gli occhi, difatti, per udire echi di battaglie lontane, per osservare paesaggi inimitabili in quanto a intrinseca bellezza, per camminare sotto un cielo grigio che regala fiumi di pioggia.
Non mancano nemmeno furiosi attacchi sonici comandati dall’esplosività dei blast-beats mentre, in sottofondo, le melodie scorrono ignare della sovrastante tempesta di fulmini. È il caso di “Rebirth“, canzone di un quarto d’ora di durata che con i suoi up-tempo saetta nell’etere guidata dalle clean vocals di Marshall, opulenta nel suo contenuto musicale, quasi a voler essere presa a esempio per condensare “Amidst the Ruins“.
“Amidst the Ruins“, appunto, fantastico lavoro di musica dai molteplici toni che va al di là dello spazio e del tempo per scolpire, chissà, qualche roccia nell’antica Caledonia e restare lì, per sempre. Con i SAOR vigili sulla propria creatura affinché non cambi al passare degli anni, talmente è grande il suo valore.
Daniele “dani66” D’Adamo