Recensione: Among Ashes and Monoliths
Gli Ablaze My Sorrow sono noti ai più per essere stati partecipi della prima ondata del cosiddetto gothenburg metal. La primigenia emanazione, cioè, del death metal melodico. Dopo una carriera ricca di soddisfazioni, sia a livello di critica, sia a livello di fan, contraddistinta, anche, da tre full-length, (“If Emotions Still Burn”, 1996; “The Plague”, 1998; “Anger, Hate and Fury”, 2002), la band si scioglie nel 2006. Per rinascere nel 2013 e, quindi, ricucire il percorso interrotto con un EP, “The Suicide Note” (2012), e due altri full-length, “Black” (2016) e “Among Ashes and Monoliths”, quest’ultimo oggi in uscita ed esame della presente recensione.
“Among Ashes and Monoliths” è un’opera dalle tematiche profonde, che trattano appassionate auto-riflessioni che s’incuneano in argomenti comprendenti depressione e autostima. Temi che si riverberano sullo stile, lontano anni-luce dalle scoppiettanti e… allegre proposte di tanti altri gruppi che praticano lo stesso genere. E questo poiché il tale genere, osservato nella sua forma natia, è stato abbondantemente contaminato, qui, da parecchie altre fogge musicali quali black, in primis, poi thrash e anche un po’ di atmosfere gothicheggianti (‘My Sorrow’).
Un buon passo in avanti, perlomeno a parere di chi scrive, poiché la summa di tutto quanto più su citato assume le forme di uno stile complesso, articolato, ricco di risvolti a mò di caleidoscopio; ideali per dipingere su di essi i vari stati d’animo espresso dall’ugola di Jonas Udd, il nuovo vocalist. Il quale, a confermare la commistione con il black metal, preferisce utilizzare lo screaming invece del growling; quest’ultimo a mordere in pochi frangenti, assai diluiti nei quarantasette minuti di durata del platter. Un po’ una novità giacché, per tradizione, il melodic death metal è accompagnato anzitutto da linee vocali disegnate dal growl.
Detto questo, la coerenza con il (sotto)genere in parola è garantita dal lavoro delle chitarre. Queste, sì, obbedienti sia a dettami prettamente armonici, sia a un riffing corposo e lineare, massiccio, molto vasto, a volte parecchio aggressivo, a volte più dolce e dedicato alla proposizione di melodie sicuramente non di facile presa né, tanto meno, di facile ascolto; come in quella che potrebbe considerarsi l’hit (sic!) dell’intero lavoro: ‘The Cavernous Deep’. Proprio in questa canzone compare uno strumento tradizionale in modo da complicare ulteriormente le cose per un tocco folk senz’altro piacevole e adeguato al contesto.
Analizzando quindi i vari brani, ecco che appare, assieme a una variabilità tale da non indurre alla noia, anche una certa difficoltà a tenere insieme il tutto. Il combo di Falkenberg va senz’altro lodato per aver cercato delle soluzioni diverse di soliti cliché. Lo si è sottolineato, lo si ripete. Tuttavia, pare non essere riuscito a condensare alla perfezione il tutto in un unico, ben definito stile. Questa, più che una critica, è una sensazione a pelle che emerge quando, dopo reiterati passaggi, appare ancora difficile mettere bene a fuoco uno sound che sia coeso, compatto, fortemente indicativo del combo medesimo.
I Nostri, in ogni caso, per quanto riguarda ogni singolo episodio, sono indubbiamente dotati di una più che sufficiente classe compositiva. Le song sono equilibrate e propositive, ciascuna dotata di una propria personalità che, come detto, si perde un po’ quando messa a confronto di quella delle altre. Qualcuna di esse rimanda comunque più direttamente al gothenburg metal (‘The Day I Die’), dato atto che il DNA non si può stravolgere, mentre altre si allontanano con decisione, quasi valicando il confine con il black (‘Among Ashes and Monoliths’).
Alla fine dei conti “Among Ashes and Monoliths”, pur con le sue sfilacciature, è un discreto LP da prendere in considerazione si vuole trattare qualcosa di diverso dal solito. Del resto, gli Ablaze My Sorrow non sono di primo pelo e si sente.
Attenzione, però, a non perdere la bussola!
Daniele “dani66” D’Adamo