Recensione: Amorphous

Di Daniele D'Adamo - 12 Marzo 2014 - 17:31
Amorphous
Band: Warknife
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2014
Nazione:
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60

 

I Warknife nascono in Puglia nel 2006, grazie alla cooperazione fra il chitarrista Simone Mele e il batterista Cesare Zuccaro. Da allora, sono venuti alla luce il classico demo d’ordinanza (“Warknife”, 2007) e due album, “Dream Of Desolation” (2009) e “Amorphous” (2014). Un percorso che li ha portati a evolvere dall’originario thrash fortemente ispirato alla Bay Area all’attuale metalcore, lungo un percorso di crescita naturale e continuo, senza strappi.

Non si tratta tuttavia di metalcore melodico bensì di quello ‘thrash oriented’, nel quale, cioè, si privilegia l’aggressività e la spigolosità rispetto all’ariosità tipica, per esempio, di certe band britanniche à la Devil Sold His Soul. Un’asprezza che, chissà, fonda le sue origini nella brulla conformazione della penisola salentina e nelle sue torride estati. Così come torride sono alcune contaminazioni che rimandano addirittura all’hard rock, inteso nelle sue forme più riottose e dannate (“A Bleeding Sunset”).

Malgrado questa indole volta a non seguire pedissequamente certe sonorità attualmente assai in voga nel campo (We Came As Romans, The Green River Burial, ecc.), lo stile dei Warknife non presenta un’aurea particolarmente originale. Tutto è al punto giusto, anzi: il sound del disco (registrato da Angelo E. Buccolieri ai Newstar Rec. Studio di Lecce, masterizzato da Davide Fant a Hollywood) è praticamente perfetto. E, in più, la band mostra delle qualità tecniche di grande livello – molto bravi, tutti. Ma, tentando un approccio più immediato e istintivo alle varie canzoni, la sensazione che ne ricava è quella di una certa freddezza, di un’eccessiva rispondenza alla didattica invece di un approfondimento emotivo teso a inspessire un’anima altrimenti tendenzialmente piatta. Si tratta di percezioni legate al personale modo di ciascuno d’intendere la musica poiché nel full-length, dalla breve apertura strumentale “Act I – Shapeless Birth” alla conclusiva “F.A.I.L.”, non c’è nemmeno una nota fuori posto. Proprio per ciò, però, il rischio che corrono produzioni come queste, e cioè scevre da spunti dilettanteschi quindi altamente professionali, è quello di trasmettere un effetto di artificiosità che, almeno a parere di chi scrive, impedisce all’opera di decollare.      

Ci sono invero più parti in cui è difficile resistere alla tentazione di battere il piede, come in “Behold Regression”. Il senso del ritmo e l’attenzione per il groove sono due parametri fondamentali nel settore del metalcore, e di ciò i Warknife ne fanno dovuta attenzione come dimostra la sinuosa, avvolgente “A Veil Fragments”. Una song peraltro riuscita in tutto, soprattutto nelle parti armoniche, morbide e dolci, che purtroppo si manifestano come eccezione e non regola, in “Amorphous”. C’è anche “Shining Phoenix”, allineata su tale andamento, ma è proprio il platter nella sua interezza, nella sua globalità, che non riesce a essere accattivante a tutto tondo, ad ‘acchiappare’ al volo l’attenzione.       

È come se, insomma, la ragione avesse prevalso sul cuore, impedendo così ai Warknife di liberare la loro carica emotiva. Percepibile a singhiozzo ma percepibile. Un po’ ovunque ma non dappertutto.        

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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