Recensione: An Evening with John Petrucci & Jordan Rudess
E’ il 10 di giungo dell’anno 2000. All’Helen Hayes Performing Arts Center di New York due straordinari musicisti mettono mano ai ferri del mestiere per regalare a sé ed al pubblico una serata unica ed indimenticabile. John Petrucci e Jordan Rudess, chitarra e tastiera dell’istituzione neo-prog chiamata Dream Theater, non hanno bisogno di troppe cerimonie per essere presentati. Muniti di un bagaglio tecnico che pochi possono permettersi, i due astraggono per una notte la loro classe sopraffina dal campo del prog-metal in senso stretto per metterla al servizio dell’arte in senso lato. Decidono dunque di imbastire in breve tempo un concerto semi-acustico, ed inseriscono nella scaletta solo brani composti ad hoc per l’occasione, ma curati quanto quelli di un full-lenght da studio (e sicuramente molto più di quelli del mezzo flop Train of Thought), dalla durata media di una decina di minuti. Da questo punto in avanti i detrattori avranno pane per i loro denti, nel trovare anche un singolo difetto in un album che per pulizia e precisione del suono fa a tratti dimenticare che siamo davanti ad un’esibizione dal vivo. Se peraltro in passato qualcuno poteva storcere il naso (o, più appropriatamente, l’orecchio) di fronte a song che sacrificavano oltre misura l’immediatezza e la fruibilità in favore di sfoggi di tecnica talvolta ritenuti troppo fini a se stessi, sfido chiunque a non ammettere che in questo caso siamo di fronte al connubio ideale tra padronanza dello strumento, ai confini della perfezione, e carica emotiva. Brani come Truth, in cui il piano di Rudess e le chitarre di Petrucci (il quale passa con impressionante disinvoltura dall’elettrica alla classica) giocano tra loro in un intreccio di battute ora scherzose, ora romantiche, che si aggrovigliano l’una attorno all’altra, chiamando a raccolta le influenze più disparate, o come From Within, incantevole nelle sue melodie soavi e sognanti, scioglierebbero anche i cuori più ruvidi ed incalliti. Nondimeno ogni traccia dell’album meriterebbe una citazione, a partire dall’incipit Furia Taurina, memorabile per i suoi giri di chitarra spagnoleggianti e dal sapore jazzistico, fino a In the Moment, in cui l’elettrica pare ad un tratto addormentarsi, per poi risvegliarsi di soprassalto e lanciarsi in un vorticoso climax di passioni che sfocia nella staffetta conclusiva con l’inseparabile piano. E che dire di una gemma come Fife & Drum, un arcobaleno di giri, stacchi, salti di tono in cui gli strumenti si rincorrono senza sosta fino a comporre un piccolo poema muto in cui ogni accento è esattamente là dove dovrebbe stare. Ma quale miglior prova dello straordinario valore di un simile disco, se non l’ascolto. D’altronde, non può essere un caso se un certo Steve Vai, imbattutosi in quest’opera, ha voluto che fosse rilevata dalla Sound Mind Music (che curò la prima edizione del 2000) e ridistribuita sotto l’egida della propria etichetta. La nuova edizione peraltro contiene tre piacevoli bonus tracks: si tratta della (stupenda) versione unplugged di State of Grace, già comparsa sul primo disco dei Liquid Tension Experiment, di The Rena Song, canzone di grande sentimento che Petrucci dedica alla moglie, e di una versione da studio del celebre Volo del Calabrone di Rimsky-Korsakov che ribadisce, come se ancora non fosse chiaro, di che pasta è fatto questo sensazionale duo. Spero, ma in verità non confido, di aver reso giustizia con le mie parole alla bellezza di questo capolavoro. Forse l’etichetta “metal” si rifiuterà di stargli appiccicata, ma gli amanti della buona musica preferiranno senza esitazione un disco ispirato ed eterogeneo come questo ai quintali di mediocrità che da qualche tempo a questa parte affollano gli scaffali del mercato. Da non perdere.
Tracklist:
- Furia Taurina
- Truth
- Fife & Drum
- State of Grace
- Hang 11
- From Within
- The Rena Song
- In the Moment
- Black Ice
- Bite of the Mosquito (studio version)