Recensione: Anatolia
In una complessa struttura di derivazione progressive Anatolia combina una torva base heavy/power metal, corposo doom e qualche “retaggio” thrash con il patrimonio musicale anatolico e mesopotamico, creando un magma strumentale incandescente, sognante ed etereo al tempo stesso. La componente folk oltre che dalle tastiere è talvolta enfatizzata da vari strumenti tradizionali quali bağlama, bendir, darbuka, ney e zil (cimbalini a dita). Nelle canzoni viene inoltre fatto un uso sapiente dei cori, scelta stilistica che enfatizza la componente epica. Nel complesso “tappeto” strumentale si distende l’appassionata, melodiosa e potente voce di Murat Ilkan, una sorta di “incontro” timbrico e stilistico tra Bruce Disckinson (per teatralità ed animo ruggente), Johan Längqvist (per il trovarsi a suo agio su tonalità profonde e oscure) e quella di James Labrie (per l’aria innocente e per un lato romantico). Oscillando agilmente e fluidamente tra toni bassi ed alti, Murat dona un’animo tagliente alle tracce ed un’intensità all’occorrenza drammatica o serena.
La title-track Anatolia e Dark Is The Sunlight danzano in un vorticoso intreccio di chitarre doom ma con stati d’animo diversi. La title-track volteggia in un sensuale bilico tra la solarità ed il dramma, tra la luce ed il buio, tra la pace e la furia incessante, in un turbinio di cori dall’aria solenne in cui spicca l’acuta ed operistica voce di Sertab Erener (una delle pop star turche più famose). Dark Is The Sunlight è invece un condensato di atmosfere tetre, apocalittiche, “smorzate” dal senso epico donato dalla voce di Murat.
1,000 in the Eastland vivacizza i danzanti ritmi vorticosi con un’energia heavy/power aggressiva, battagliera ed orgogliosa, a tratti marziale ed aggiunge un pizzico di malinconia con dei tocchi gothic metal. 1,000 in the Eastland insieme alla title-track è dedicata a Ümit Yılbar, chitarrista della band morto nel 1993 ucciso dai terroristi mentre era in servizio nell’esercito.
Gündüz Gece è una cover di Âşık Veysel Şatıroğlu, ashik (cantante che accompagna le canzoni suonando il bağlama), poeta e cantautore turco. La versione dei Mezarkabul è intrisa di un’aria notturna e misteriosa, sapientemente equilibrata tra slancio epico heavy/power, scintillanti velature gotiche e brevi ed agili tocchi che esaltano e vivacizzano le melodie folk. Quella dei Mezarkabul è una cover molto ben riuscita, infusa del loro inconfondibile tocco personale.
Stand To Fall, Give Me Something To Kill The Pain e Fall Of A Hero sono canzoni che si fanno notare per la loro epicità marcata, enfatizzata da riff heavy/power e per un approccio molto diretto ed istintivo senza però dimenticare uno stile di fondo estremamente complesso e ritmicamente vario. In tutte e tre le canzoni c’è una decadente sensibilità gothic metal, specialmente nella “piovosa” Fall Of A Hero, mentre Stand To Fall più di tutte e tre le tracce è molto vicina a quel thrash metal che ne fa un brano in bilico tra la disperazione ed il coraggio ottimista. Give Me Something To Kill The Pain coinvolge invece con una volteggiante e magnetica epicità doom.
Welcome The End ed On The Run in particolar modo presentano forti rimandi al thrash metal degli esordi, ma mentre Welcome The End poggia su possente ed avvincente gusto melodico impreziosito da virtuosi assoli, in On The Run domina la componente thrash e riduce quella epica. L’anima folk è sempre presente, tuttavia nella “fuggitiva” On The Run viene messa in secondo piano a favore di un’atmosfera ansiosa, un’aria gelida ed industriale accentuata dal “meccanico” cantato filtrato e da un senso generale un po’ caotico, disordinato. Per questa sensazione di disordine On The Run è forse il punto debole di Anatolia, anche se non è un brutto brano. Il momento migliore di On The Run è la breve parte più folk tradizionale scandita da marziali e potenti percussioni.
Time è l’unico brano del disco totalmente strumentale. Le ardenti ed affilate chitarre percorrono indistrurbate la composizione intrecciandosi con le leggiadre melodie folk e creando così un “mix” estremamente fluido ed affascinante.
In Behind The Veil più di tutte le altre tracce di Anatolia prevale una struttura progressive metal pervasa da un animo gothic introspettivo, misterioso e, contemporaneamente, da una buona dose di un istintivo entusiasmo epico.
La conclusiva Sonsuz è l’unica ballad del disco e, insieme a Gündüz Gece ed alla title-track, è l’unica canzone ad essere cantata in turco. Sonsuz è una toccante e soave ballata dal sapore acustico e dai caldi tocchi chitarristici dall’aria blues.