Recensione: …And Justice for All
“When a Man lies, He murder
some part of the world.
These are the Pale deaths which
Men miscall their lives.
All This i Cannot bear,
To whitness any longer,
cannot the kingdom of salvation
take me Home”
-Cliff Burton, To Live is to Die.
I Metallica, una band tra le più famose di sempre ma, ultimamente, anche una delle più criticate e soprattutto detestate e contestate dal popolo del metallo, per i noti fatti legati al loro dirottamento musicale, le discusse scelte di Marketing, le varie cause legali intraprese, tutti fenomeni che hanno gettato non poche ombre sul gruppo, accusato sempre più marcatamente di pensare solo al cash, e di aver perso il “cuore”, che da sempre li aveva contraddistinti. Beh, certamente nel 1988 la situazione era diversa. Reduci da soli 3 album in 5 anni, ma tutti e tre pietre miliari dell’allora “golden age” del Thrash, e in generale del metal tutto, Lars Ulrich e compagni, nonostante la recente dipartita del loro membro forse più carismatico, ovvero il bassista Cliff Burton, maestro di tecnica e di “appeal”, dicevo i Metallica non si perdevano d’animo e mettevano sul mercato il quarto lavoro della loro fino ad allora immacolata ed esaltante storia, che li vedeva sovrani del metallo assieme ad Iron Maiden e pochissimi altri. Questo quarto presunto capolavoro non era nient’altro che “…And Justice for All”, uscito nei negozi sotto gli occhi di tutti, e per vedere se sarebbe davvero in grado di essere degno erede della fama di Master of Puppets e soci, e soprattutto per vedere se Jason Newstead avrebbe sostituito il buon Cliff almeno senza farlo rimpiangere.
Ambedue gli obiettivi vengono centrati quasi in pieno. Infatti Newstead si dimostra un eccellente sostituto, sia per come suona, ma soprattutto per il suo modo di “vivere” i pezzi, con aggressività, soprattutto in sede live, con quel suo particolare taglio di capelli, e il suo headbanging, che ha esaltato più di un fan. Il disco invece si dimostra in gran parte differente dai precedenti, confermando una evoluzione che i Metallica stavano subendo nei vari anni e di album in album si accentuava. Se in Kill’em All il suono era grezzo e molto veloce, se Ride the Lightning e Master of Puppets erano cavalcate strumentali dove violenza e melodia si incrociavano, “…And Justice for All” è il disco più articolato della storia del gruppo. Si vede subito la differenza coi suoi predecessori, infatti i pezzi prendono corpo e diventano più lunghi (5 minuti e 12 il più breve), vi sono presenti molti più arrangiamenti tecnici che non graffianti, il sound forse è un attimo più morbido (ma veramente di poco) e più pulito, anche se come nei precedenti dischi, and justice mantiene una qualità media dei pezzi davvero elevatissima, con un gran contributo da parte di tutti, con Lars Ulrich al massimo di sempre alla batteria, Jason che come detto non fa rimpiangere il suo predecessore e i due chitarristi che danno prova di ottimo affiatamento e, nel caso di James, di una ottima esibizione vocale, che verrà confermata dai due live che saranno suonati in Texas e in Canada un anno dopo (e dei quali usciranno i CD). Vediamo dunque le nove canzoni dell’album, analizzandole una ad una.
L’LP si apre con una intro in crescendo, con chitarra e basso che intonano una melodia tranquilla e di attesa, che però non deve ingannare l’ascoltatore, perché presto questa atmosfera culmina nella violenta “Blackened”. Il pezzo qui non è troppo articolato, anzi, picchia davvero di brutto, e di certo non fa rimpiangere gli album passati, perché cattiveria e odio come in questa canzone se ne trovano non tante tra un album targato dai “Four Horsemen”. Mi piace molto anche l’assolo, pur non essendo particolarmente tecnico o pirotecnico, ma mi prende . A Blackened, segue un’altra intro molto dolce che sfocia nella grande “…And Justice for All”, pezzo (di oltre 9 minuti) stavolta sì all’insegna della modifica tecnica dei Metallica, pezzo che varia tratti di velocità pura intervallati a parti lente, e quadrate. Anche l’assolo è diviso in due parti, una più veloce e lineare, e una più tecninca e variopinta, tutte e due veramente fatte veramente bene, per una delle migliori song del disco. Terza song risulta la ritmata e potente “Eye of the Beholder”, dove chitarra ritmica e batteria la fanno da padroni, almeno all’inizio, ma nel complesso in un tutto il brano, che risulta essere davvero affilato pur non avendo una velocità eccelsa. La voce è cupa e se le strofe possono musicalmente essere un poco noiose, non si può dire cose del refrain, davvero una inondazione di aggressività, che non stona tuttavia col bel melodico assolo. Un giorno i Metallica dissero : “Quando faremo un video, vorrà dire che avremo tradito i nostri fans”. Beh il video è arrivato, ma di tradimenti qui non se ne vedono, in quanto la produzione è a dir poco geniale. Il video in questione è della canzone che molti considerano la più bella di sempre del gruppo, ovvero la struggente e psicologica “One”. La Song si apre sotto rumori di un campo di battaglia contemporaneo, quindi bombe, mitragliatrici, accompagnate dalla soave chitarra di un ispiratissimo Hetfield. Dicevo che la canzone è psicologica in quanto tratta il tema della guerra, nei suoi aspetti peggiori, nel caso particolare a cosa prova un giovanissimo soldato partito per il padre e l’onor della patria, per morire tragicamente in un letto di un ospedale militare. La lirica è splendidamente legata alle scene mostrate dal film “E Jhonny prese il fucile”, dalle quali scene e tratto il video stesso. La canzone in sé ha una bellissima melodia di base nella prima parte, per poi incattivirsi, e diventare un pezzo potente ma sempre con una vena di tristezza a caratterizzarlo. Canzoni come One sono difficili da trovare, in qualunque band. Dopo che i possessori di Walkman hanno girato il lato della cassetta, attacca un duro combo di batteria e chitarra, che fa da base alla veloce e graffiante “The Shorter Straw”, canzone che ho sempre avuto la tendenza a sottovalutare, ed è strano perché davvero ben fatta, quasi marziale, suonata su scale basse che rendono l’headbanging un fatto naturale. Assolo solo discreto a sentirsi, ma tecnicamente impeccabile, con scale che si susseguono nei due versi. Dicevo che tendo sottovalutare “The Shortest Straw”, forse questo avviene perché compresa tra due gemme come la precedente “One” e la grande “Harvester of Sorrow”, che subito dalla intro fa capire di essere un concentrato di puro risentimento, che rende pieno merito al titolo della stessa song “Mietitore del Dolore”. La song è lenta, e nemmeno tanto massiccia, almeno a tratti perchè altri sono delle vere e proprie mattonate, ma la combinazione delle note la rendono davvero unica, spregevolmente cattiva, semplicemente irresistibile. Forse merita il titolo di “song meno bella” dell’album “The Frayed ends of Sanity”, ed è quasi un controsenso per questa canzone che si apre in modo simile a una marcia militare, per poi diventare una song da numerosi ritmi, da medio veloce, a veloce, a molto veloce. Hetfield canta bene, ma la canzone manca di quel non so che che la renderebbe di ben altro spessore, spessore che viene ridicolizzato dalla song a mio avviso più struggente di tutta la produzione dei Metallica, anche più di One, ovvero l’unica che Cliff Burton aveva iniziato a comporre prima del maledetto incidente. Ovviamente, “To live is To Die” sta a And Justice almeno quanto Orion stava a Master of Puppets. La canzone tutta strumentale, tranne la frase che rimane scolpita nella storia del gruppo e che viene riproposta all’inizio della recensione. La canzone parte pianissimo, con una nenia triste e dolcissima ma è di più quanto ininfluente possa esserci, perché “to live is to die” è proprio l’emblema estremo dello stile di “…And Justice for All”. Infatti non cambiano solo i ritmi, ma prorpio tutta la traccia subisce stravolgimenti strumentali vari, esprimendo tristezza, dolore, rabbia, e quant’altro. La parte centrale della song, quella alla chitarra elettrica per intenderci, è a mio avviso il pezzo più commovente e carico di sentimento che mi sia capitato di sentire in una canzone metal capolavoro, poi lascio ai posteri la sentenza. L’unico peccato è che dopo “To Live is To Die” venga il peggior pezzo di tutto il disco, ovvero “Dyers Eve”, che pur non essendo malaccio sporca parzialmente quanto sentito per ora, davvero non poco. Non mi sento di dare il commento finale a questo album, dico solo una cosa, compratelo, non ne sarete delusi.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
TrackList :
- Blackened 6:40
- …And Justice for All 9:44
- Eye of The Beholder 6:25
- One 7:24
- The Shortest Straw 6:35
- Harvester of Sorrow 5:42
- The Frayed ends of Sanity 7:40
- To Live is To Die 9:48
- Dyers Eve 5:12