Recensione: …And Justice For All [Remastered – Deluxe Edition]
Leggenda metropolitana narra che il terzo album di un gruppo metal sia quello più delicato, il momento in cui si capisce dove andrà a parare la carriera di una band, se verso il gotha del rock oppure in direzione opposta: verso un limbo di semi anonimato. I Metallica invece sono uno di quei rari casi dove il bivio tra paradiso e inferno si è materializzato alla prova del quarto album (altro esempio che mi viene in mente è “Back in Black” degli AC/DC pubblicato dopo la prematura morte di Bon Scott) nel divisivo, e allo stesso tempo memorabile “…And Justice For All”, realizzato nel 1988. Le date sono importanti perchè il 27 settembre del 1986 veniva a mancare improvvisamente Cliff Burton, geniale bassista dei Cavalieri dell’Apocalisse, in seguito a un incidente stradale avvenuto in Svezia, dopo che il tour bus dove viaggiava la band si schiantava in un dirupo nel cuore della notte. Poche ore prima Cliff si era giocato alle carte il letto nel quale dormire con il chitarrista Kirk Hammett e dal mazzo era uscito l’asso di spade. Il destino aveva emesso la sua sentenza.
Il mondo del metal rimase sconvolto da quella terribile ed inaspettata notizia, dal momento che la carriera dei quattro di Frisco era inarrestabile, dopo aver inanellato tre successi clamorosi, non ultimo il mastodontico “Master Of Puppets”, un lavoro maturo che aveva proiettato i Metallica ai livelli dei Maiden e Judas Priest. Sembravano imprendibili ed invece in una fredda notte scandinava il destino si era accanito sul combo californiano. “…And Justice For All” venne aspettato al varco dal popolo metal con un’ansia spasmodica e la domanda era solo una. Ce l’avrebbero fatta ad eguagliare “Master of Puppets” con il nuovo arrivato al basso Jason Newsted?.
La risposta è sì, ce l’hanno fatta. Stringendo i denti e facendo delle scelte dolorose, specialmente in fase di mixaggio. Perchè sull’altare del sacrificio venne messo il povero Jason, di cui appunto né Hetfield né Urlich si fidavano abbastanza, tanto da sommergere le linee di basso con la batteria e le chitarre. Il mix dell’album è stato criticato in maniera feroce sia dalla stampa specializzata che dai fan della band, tanto da additarlo come un disco freddo e gelido, dove il suono della batteria risultava ostico e di plastica. In tempi recenti anche la stessa band ha dichiarato di non aver gradito il lavoro del fidato produttore Fleming Rasmussen (lui invece imputa alla band tale decisione). Dopo trent’anni la band ristampa in maniera sontuosa il loro quarto album in versione deluxe (11 cd, 4 vinile, dvd, poster, foto inedite e memorabilia varia ecc.), non aspettatevi un mix del basso più alto, assolutamente no, la band non ha voluto snaturare il sound “particolare” del disco originale, ma ha dato una modernizzazione al vecchio suono aumentando la potenza delle frequenze medio/basse. Per inciso, io ho sempre adorato il suono freddo e gelido di …And Justice, specialmente il suono devastante della batteria di Urlich, che per me qui ha suonato alla grande mettendo in risalto le melodie agrodolci della coppia Hetfield/Hammett. Ci sono poi dei fautori di teorie assurde che ritengono che non sia Lars a suonare su questo album. Beh, fatevi vedere da uno bravo, perchè se è vero che lo stile del danese oggi risulti involuto e deficitario è altrettanto vero che all’epoca spaccava ed era uno dei migliori picchiatori in ambito thrash in circolazione.
Se molti, prima dell’uscita del disco si aspettavano una copia sbiadita di “Master Of Puppets”, si sbagliavano di grosso. La band thrash per eccellenza si prese una bella rivincita verso gli scettici, pubblicando un album che sarà il disco techno thrash per antonomasia degli anni Ottanta, per tutte le band all’inseguimento dei quattro ( a partire dai Megadeth che due anni dopo sfornarono l’ipetecnico RIP). Blackened apre le danze con un riff iconoclasta e denso di melodie che hanno reso celebri James e soci con uno stacco centrale in mid tempo assolutamente da urlo. Una partenza in quarta che ricorda l’incedere impetuoso di Battery dal precedente album, ma è con la seguente lunghissima e intricata title track che i Metallica si mettono alla prova, eseguendo un saggio di bravura notevole intersecando arpeggi agrodolci a riff intrecciati in trame intarisiate d’oro massiccio, che porteranno il brano su lidi quasi prog. La cosa che colpisce dell’album è di come la band si sia evoluta ulteriormente rispetto al bellissimo “Master of Puppets”, aggiungendo dei sapori in più rispetto a una ricetta già perfetta. I testi del disco sono poi di un’attualità impressionante, così come la copertina, dove troviamo la statua della Giustizia bendata e sul punto di crollare, danneggiata dai colpi di maglio della corruzione, avidità e brama di potere. Uno dei miei pezzi preferiti del disco è la lovercraftiana The Eye Of The Beholder, un monolite nero che, con un mid tempo marziale, devasta tutto quello che si trova davanti, per poi giungere al ritornello assolutamente indovinato e coinvolgente. Ma il brano che ha lanciato i quattro di Frisco verso il successo planetario è la semi-ballad thrash One di cui fu realizzato un video che venne programmato da MTV nel palinsesto notturno, ma che in seguito alle numerose richieste dei seguaci della band raggiunse il prime time. Ma i Metallica non avevano giurato di non girare un video perche’ era da posers? Sì, lo avevano sbandierato ai quattro venti, ma come dicevano gli antichi romani “pecunia non olet” e questo sarà solo il primo di mille compromessi, che nell’arco degli anni porterà la band, da essere considerata la band numero uno per i thrasher, ad essere additati come venduti alle regole del mercato. Se ci fosse stato Cliff, le cose sarebbero andate diversamente? Non credo proprio, ma questa è un’altra storia. One rimane il pezzo trainante dell’intero album, perchè è quello che ancora oggi viene sempre eseguito in sede live ed è anche quello costruito meglio dei nove pezzi inclusi nel disco, con una partenza dolce e delicata con l’arpeggio acustico di Hetfield che sfiora le corde dell’anima, con il suo andamento elegiaco, che poi sfocia nella “solita” melodia vincente del ritornello. La parte centrale con la doppia cassa stoppata di Urlich è diventata patrimonio mondiale della storia del metal.
Shortest Straw è assolutamente irresistibile con quel suo riff insistito e l’assolo di Hammett quasi hard blues al centro del brano, ma è la seguente Harvester of Sorrow a conquistarsi la palma di miglor brano thrash di “…And Justice For All” e per inciso uno dei miei preferiti in ambito thrash. Una divisione di Panzer che si abbatte contro le vostre trincee, con la voce stentorea di Hetfield che scandisce il refrain assolutamente vincente. La strumentale e triste To Live Is To Die è il commiato al defunto bassista, mentre la velocissima e nervosa Dyers Eve chiude i giochi di un album perfetto nelle sue imperfezioni.
Questa esaustiva e ricca ristampa non offre inediti o brani scartati come spesso avviene in questi casi, ma delle demo registrate nell’arco di un anno e mezzo a casa di Hetfield, dove prova con il metronomo dei segmenti dei brani che finiranno sul disco ancora non terminati, oltre che a delle sessioni in sala prova con la band al completo. Nella lunga sezione live, oltre al famoso Live registrato nell’89 a Seattle, ci sono degli estratti da esibizioni tenute all’Hammersmith di Londra e al piccolo Troubador di LA, dove la band acquista gradualmente sicurezza sui nuovi brani in scaletta. Nei DVD ci sono poi sia riprese live effettuate dalla band stessa che dai fan, tutte di discreta o buona qualita’.
Insomma una ristampa lussuosa che farà felici un po’ tutti i fan della band californiana e che si andrà ad aggiungere ai precedenti capitoli del gruppo che hanno subìto lo stesso trattamento di rinnovamento. “…And Justice For All” anche a distanza di trent’anni rimane uno dei pilastri della band e del thrash metal più evoluto ed intelligente.