Recensione: And The Living Shall Envy The Dead
Anche per gli Imindain è giunto il momento della prova del full-length: questo combo britannico fautore di un potente death-doom, dopo due ottimi demo, si cimenta ora col suo primo album vero e proprio, ottenendo risultati sorprendentemente buoni. La stretta parenetela col demo Monolithium è resa evidente dal fatto che tre delle sei canzoni che compongono il platter provengono proprio da lì, ma possono ora godere di una produzione molto più pulita che ne mette maggiormente in risalto la potenza sonora. Gli Imindain, con And The Living Shall Envy The Dead, vanno a infoltire le fila delle nuove rivelazioni del 2007, presentandosi come un gruppo compatto, che sa ciò che fa, capace di imporre la propria identità, senza strafare e con una visione lucida e concreta dei propri obiettivi.
Obiettivi che, possiamo dirlo fin da subito, sono stati pienamente raggiunti. Gli Imindain sembrano attingere dal meglio che il death-doom ci ha saputo proporre negli ultimi quindici anni circa: ci sono echi dello stile asciutto e melodico dei primi My Dying Bride, similitudini con la pura pesantezza sonora dei Morgion, riferimenti alle atmosfere desolate tipiche degli Evoken. Ma come già detto, gli Imindain non sono la copia di nessuno, la loro è una rielaborazione personale e schietta del sound tipico del death-doom; non mirano a rivoluzionare il genere, ma a farci ascoltare dell’ottima musica, composta con grande dedizione, foriera di qualità e competenza, e in questo riescono dannatamente bene. Le chitarre sono piene, potenti, i riff si susseguono incalzanti e coinvolgenti, e c’è una grande attenzione alla melodia, ma alla melodia intelligente, non scontata, oculatamente alternata con le parti più violente; stacchi acustici di grande atmosfera intervengono qui e lì ad arricchire lo svolgersi delle canzoni, e l’attenzione è mantenuta costante anche da un drumming vario e non lineare; l’incedere è generalmente lento, a volte tanto da rasentare il funeral doom, ma accelerazioni decisamente riuscite e galvanizzanti contribuisono a variegare ulteriormente la proposta. La voce del cantante è estremamente versatile, e dimostra di saper padroneggiare alla perfezione diversi stili: il più usato è il growl, che si presenta profondo e potente, ma sono presenti anche numerose sezioni cantate in pulito con una voce perfettamente intonata e molto espressiva, altre ancora recitate con un tono più basso e teatrale, ed ancora in alcuni frangenti interviene lo scream a rendere l’atmosfera più gelida e disperata. Insomma, la varietà sia vocale che musicale non manca, le canzoni si snodano fra numerosi cambi di tempo e diversificazioni che dimostrano grande capacità nel songwriting; gli Imindain sono in grado di accontentare sia chi cerca del death-doom potente e diretto, sia chi lo preferisce più melodico e atmosferico, poichè nella loro musica sono perfettamente integrati entrambi gli aspetti.
And The Living Shall Envy The Dead è un album eccellente, che proietta gli Imindain nel novero delle nuove leve destinate a condurre le fila del death-doom, e lo fa con composizioni di grande qualità e varietà, capaci di riassumere in sè un gran numero di influenze risultando al contempo sempre fresche e ispirate. Questo disco è altamente consigliato a chiunque abbia voglia di ottimo death-doom suonato con personalità e passione, e gli Imindain sono musicisti da tenere d’occhio: il futuro di questo genere poggia anche sulle spalle di gruppi come loro.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – The Buried Room (10:37)
2 – Nausea (05:50) * MySpace *
3 – Black Water (05:58) * MySpace *
4 – The Curse of Knowing and Becoming (08:03)
5 – Men Shall Be Vessels (09:40)
6 – This Empty Flesh (09:54)