Recensione: And Then You’ll Beg
Ecco dunque il quarto album dei Cryptopsy, nonché secondo sotto Century
Media Records ed ultimo dell’era Mike DiSalvo. Dopo un ormai lontano nonché molto discusso cambio di vocalist la line-up si assesta con la sostituzione del chitarrista
Miguel Roy a favore di Alex Auburn: sostituzione che passa quasi inosservata, essendo a quanto pare Jon Lavasseur il principale ordigno da riff e assoli della band.
Il discorso prosegue sulle medesime rotaie del precedente platter, un death ad alto tasso tecnico con strutture molto variegate, e volendo ricorrere all’iconografia dell’artwork lo si può riassumere proprio come un treno ad alta velocità che non ha la minima intenzione di rallentare. Tutto quello a cui i canadesi ci avevano
abituati è ora riproposto alla sua massima realizzazione, difficile da credersi, ma ancora un po’ più estremo. A partire chiaramente dalla sezione ritmica, che da sempre è quella che partecipa maggiormente a caratterizzare lo stile dei Cryptopsy.
Flo Mounier non ha mai suonato le pelli in maniera così assurda ( nel lontano 2000, anno di pubblicazione, nessuno si sarebbe sognato di cimentarsi in un opera simile, ripeto: nessuno) ed
Eric Langlois mantiene gli standard già alti delle precedenti uscite, riproponendo una scelta delle linee di basso molto interessante e personale. Forse ad aggiungere quel qualcosa in più sono proprio le chitarre, senza nulla togliere alle precedenti performance. Queste infatti perdono la prolissità di alcuni isolati passaggi e riescono nel difficile compito di estendere all’ intera durata delle tracce quella verve che le contraddistingue e che tutti i Crypto-fan conoscono bene. E, in effetti, se fosse diversamente sarebbe difficile rendere amabile una mazzata brutal di 6 minuti come “We Bleed”. Traccia migliore del lotto, questa rappresenta il manifesto programmatico di “…And Then You’ll Beg”: assalto sonoro come non lo si era ma sentito, brutale ma non semplicistico, incredibilmente raffinato, curatissimo per tutta la sua durata. Esattamente come la track n°1 “…And Then It Passes”: una breve intro citazione di “The Matrix” e via per cinque minuti e passa che scorrono senza che ve ne accorgiate tra variazioni continue nella ritmica e nei riff, in una struttura vorticosa e fondamentalmente incomprensibile.
Amanti delle tecnicaglie al fulmicotone gioirete nel sentire pezzi come “Shroud”, e per i fan dei Cryptopsy pre-DiSalvo, una chicca – o forse un punto debole? –
Back To The Worms, direttamente da Ungentle Exhumation. L’ unica traccia non ripresentata del demo si avvale ora della nuova produzione, che forse non si adatta come dovrebbe, così come il nuovo cantato. A quanto pare è impossibile prescindere dalla dipartita del vecchio singer Lord Worm, e richiamare dal passato una traccia per plasmarla sui Cryptopsy d’oggi ne mette in risalto tutte le differenze.
E in effetti questo lavoro ha spaccato in due il gruppo dei fan, poiché è innegabile che prenda ulteriormente le distanze dai primi due capolavori
Blasphemy Made Flesh e None So Vile, quindi se siete amanti di sonorità più propriamente brutal, non vi piacciono le produzione troppo precise, non apprezzate troppo i fronzoli tecnici e preferite a questi qualcosa di più diretto potreste rimanere delusi. Questo disco infatti, rispetto ai precedenti della band, richiede più tempo per essere digerito; solo dopo alcuni ascolti concentrati si potrà capire appieno la proposta dei canadesi e godere della sua monumentalità: a voi decidere se questo sia un pregio o un difetto.
Tracklist:
1. …And Then It Passes
2. We Bleed
3. Voice Of Unreason
4. My Prodigal Sun
5. Shroud
6. Soar And Envision Sore Vision
7. Equivalent Equilibrium
8. Back To The Worms
9. Screams Go Unheard
