Recensione: …And Time Begins

Di Alberto Fittarelli - 20 Aprile 2004 - 0:00
…And Time Begins
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Anno: 2004
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65

Una band, una scelta precisa: suonare il più veloci possibile. E’ stato
questo, secondo gli stessi Decrepit Birth, a spingere verso la metà
degli anni ’90 quattro musicisti a formare il gruppo, sull’onda (a dire il vero
in quegli anni decisamente sommersa) del death/grind di scuola floridiana. Dopo
vari assestamenti di line-up il combo trova il suo assetto decisivo con
l’ingresso di Tim Yeung alla batteria: e se cercavano la velocità, beh,
con lui l’hanno sicuramente trovata.

Questo è infatti un batterista di quelli degni di essere menzionati nel
ristretto circolo dei ‘virtuosi’ del brutal, insieme ai vari Sandoval, Talley,
Laureano, ecc… e le sue parti risultano del tutto fondamentali per
quello che è effettivamente il sound dei Decrepit Birth; che con questo
…And Time Begins
amplificano al massimo tutte le caratteristiche
già evidenziate nell’advance-cd Prelude To The Apocalypse: un brutal
che, come detto, sfocia spessissimo nel grind puro e semplice, riffs di chitarra
e basso in totale sintonia e fusi sulle ritmiche ossessive e delle parti vocali
iper-gutturali; insomma, l’essenza stessa dell’estremismo sonoro, se vogliamo.

Solo che, come non tutte le ciambelle vengono col buco, neanche tutti i buoni
propositi a livello musicale risultano poi essere veritieri: la band si
distingue sì per l’assurda velocità della parte ritmica, ma delude molto per
quanto riguarda la qualità del songwriting, con una tracklist formata da pezzi
del tutto simili tra loro e difficilissimi da giudicare singolarmente. Non ci
troviamo infatti davanti agli Hate Eternal di Rutan e Roddy,
e purtroppo si sente: se già la band dell’istrionico ex-chitarrista dei Morbid
Angel trovava un suo limite nel costruire pezzi vari ed allo stesso tempo
ferocissimi, i Decrepit Birth cascano proprio su questo punto, infondendo
nell’ascoltatore un senso di monotonia che va bel oltre gli standard
dell’estremismo tout-court, per sforare ampiamente i limiti della noia.
Dall’opener Prelude To The Apocalypse sino alla title-track,
posta in chiusura, abbiamo una serie di canzoni tutte uguali, tutte sparate a
1000, che evidenziano sì le capacità tecniche del gruppo, ma anche la sua
incapacità (o è una cosa voluta?) a diversificare il proprio materiale quel
tanto che basterebbe a fare di un disco appena sufficiente una buona uscita.

Resta impressionante sentire i blast-beats di Yeung abbattersi sui
nostri timpani per il 99% del disco, e ci si chiede più di una volta come farà
la band a riprodurre fedelmente i propri pezzi in sede live; ma se un disco deve
dare piacere nell’ascolto e non essere solamente una prova di forza, allora l’unica
cosa promossa a pieni voti è il sempre affascinante lavoro grafico di Dan
Seagrave. Ora che il bassista e songwriter Derek Boyer è entrato
in pianta stabile nei ritornanti Suffocation la band ha la possibilità
di svoltare, mantenendo le proprie prerogative senza per questo appiattirsi come
in questo disco. Speriamo nel futuro, per una band che comunque si dimostra più
che capace di stupire.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Prelude To The Apocalypse
2. Condemned to Nothingness
3. Thought Beyond Infinity
4. The Infestation
5. Rebirth of Consciousness
6. Shroud of Impurity
7. Concepting the Era
8. of Genocide
9. …And Time Begins

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