Recensione: And Yet It Dreams

Di Valentina Rappazzo - 21 Giugno 2024 - 8:30
And Yet It Dreams
Band: Kalah
Etichetta: Nova Era Records
Genere: Alternative Metal 
Anno: 2024
Nazione:
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Nati a Bologna nel 2020, i nostrani Kalah ci presentano il loro nuovo lavoro ‘And Yet It Dreams’

pubblicato sotto l’etichetta, anch’essa nostrana, Nova Era Records.

Se avete visto Matrix, o qualunque altro film su un futuro distopico controllato dalle macchine, vi sarà familiare l’ambientazione dell’album che ci racconta che nel 123esimo anno dopo la caduta di Gaia, la poca umanità rimasta si è isolata e il suo unico scopo è quello di progettare nuove macchine.

E seppure di umanità “confinata” vogliamo parlare, i confini sembrano non esistere per la band, la quale, per propria dichiarazione, non accetta l’essere relegata nella definizione musicale di genere. Una linea di condotta di cui fanno bandiera, partendo anche proprio dal nome Kalah, che in sanscrito simboleggia il costante movimento della luna.

Eppure, mi sento di dire che nonostante lo studio di base che traspare, il mix a mio personale avviso non è così ben equilibrato.

Normalmente quando scrivo di un album cerco sempre di parlarne pezzo per pezzo, sottolineando ciò che mi colpisce.

Ma vorrei cogliere l’ispirazione dalla band e non relegarmi anche io nel confine del “ciò che ci si aspetta”. Vorrei questa volta uscire dallo schema e lasciarmi guidare in un’analisi più complessiva.

La struttura dei pezzi non regge il mix di techno / power / industrial che si sussegue, i cambi sono troppo repentini e poco armonici.

Il crescendo dell’album vuole accompagnare la storia che racconta, con come protagonista un umanoide che, contrariamente a quanto ci si aspetta da lui, sviluppa emozioni.

Fuggito, viene ricatturato ma nel tentare di riportarlo alla suo stato di conformità, infetterà tutti i server con la sua “difettosità”.

C’è visione in questo album, perché ci vuole coraggio a tirare fuori un concept così, quello che manca però è il legante.

Presi singolarmente, tutti gli strumenti e le performance (comprese quelle vocali di Claudia Gigante) si difendono bene, ma è come se ognuno suonasse per i fatti suoi senza curarsi di ciò che stanno facendo gli altri.

Osare sì, ma anche il troppo storpia. E come una maionese impazzita, nel culmine tutti gli ingredienti impazziscono e si separano.

Devo concludere però dicendo che ascoltare questo album è stato un voler fuggire anche io dai miei schemi, e quello che mi lascia è anche una piccola lezione: nessuno chef si è mai fermato alla prima maionese impazzita, e spero che i  Kalah possano continuare a portare avanti il loro concept fino alla ricetta perfetta.

Al prossimo ascolto!

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