Recensione: Andhaar er Doshti Bochhor
“Andhaar er Doshti Bochhor” è l’esordio discografico degli indiani Atmahatya, band che si presenta al pubblico con nove pezzi di death metal in stile Deicide in cui sono sono presenti diversi elementi distintivi. Il primo è sicuramente il groove. Il quartetto incastona tra un riff e l’altro degli stacchi, delle pause e dei cambi di tempo per determinare impatto nell’ascoltatore. Ne deriva un death metal modernizzato e dalle tinte deathcore, almeno nella ricerca dell’obiettivo perché quest’ultimo non è stato centrato.
Possiamo anche riconoscere che la band ci sta provando anzi, sta proprio osando. Come appena anticipato, ci sono molte soluzioni compositive interessanti, come per esempio dei cambi di tempo e degli stop-and-go che regalano qualche accenno di headbanging, ma manca la continuità, per non dire, manca totalmente la compattezza. Eccezion fatta per qualche tratto o spunto, i brani nel complesso appaiono frammentati e incoerenti. C’è una fortissima carenza di melodia, frutto probabilmente di poca abilità nella ricerca di soluzioni armoniche in grado di conferire personalità al disco. Poco conta se Debasish ci sa fare alla grande al microfono. Nel momento in cui la batteria è precisa (troppo precisa…?!), ma non integrata perfettamente nel riffing, Ronny Sinha alla chitarra produce pochino in termini di cose interessanti e il basso è un fantasma, il risultato non può essere di alto livello, mi dispiace. E infatti possiamo considerare “Andhaar er Doshti Bochhor” un passo falso.
Un ulteriore elemento di valutazione negativa sono i suoni. Terrificanti! Piatti, privi della benché minima analisi atta a determinare un bilanciamento, abbassano significativamente il valore di alcuni tratti compositivi che, a strizzare per bene le orecchie, avrebbero brillato maggiormente con una scelta al mixer più oculata e attenta.
Da dove ripartire? Sicuramente dal cantante. A cosa puntare per migliorare? Sicuramente meno ‘complessità’ e più concretezza. Un brano che ha una bella forma canzone è sicuramente ‘Death Dealers‘ quindi anche questo è un elemento di riferimento pro-futuro. In seconda battuta, suggeriamo di fare un bel lavoro in fase di produzione affinché il suono finale abbia volumi belli bilanciati e garantisca che la sezione ritmica sia integrata con maggior efficacia nel riffing. Infine, accettare anche un po’ di ‘sporcizia’ senza troppi patemi d’animo perché il death metal, più marcio è, più è accattivante… e a questa band manca proprio l’esser attraente fin dai primi minuti.