Recensione: Angels Of Distress
Secondo disco per una delle doom band più chiacchierate e promettenti del panorama musicale metal. Già con il precedente ed ottimo debut album “Shades Of…” i finlandesi Shape of Despair mostravano un’evidente propensione per le sonorità del doom metal più cupo, lento ed evocativo, mentre con questo “Angels of Distress” gli stilemi presenti sul primo disco vengono perfezionati, il songwriting migliora decisamente e, tutto sommato, il gruppo dimostra di essere in grado di evolversi col tempo. Anche la produzione risulta più moderna ed adeguata, valorizzando a pieno le composizioni. Cinque tracce per cinquantacinque minuti complessivi, dei lunghissimi viaggi di malinconia e depressione allo stato puro, fatti di ritmi estremamente rallentati, growling profondissimo e animalesco, massiccio ed onnipresente uso di strumenti classici come oboi, pianoforti e violini, il tutto condito da vocalizzi femminili che cercano di contrastare l’infernale voce del singer e con chitarre e sezione ritmica che non di rado hanno solo un ruolo accompagnatore. L’opening track “Fallen” è una disperata marcia funebre, in cui le parti cantate da Pasi Kosinen o P.K (solo sigle per i cinque della band) sono ridotte all’osso, a favore di una voce femminile prima distante poi sempre più vicina. Segue la title-track, brano ancora più maestoso ed carico di atmosfera, con intrecci strumentali contrastanti da brivido e un intermezzo centrale di grande intensità. Certamente non un brano ricco di cambi di tempo, ma nella sua ragionata ossessività riesce a tenere col fiato sospeso. La seguente “Quiet These Paintings Are” è un pezzo più incentrato sull’uso di strumenti classici, lo capiamo già dall’intro di pianoforte accompagnato da un oboe, che poi sfocia in una interminabile e meravigliosa agonia sonora dalla durata di 14:40. Si arriva dunque al capolavoro del disco, la mirabile “…To Live For My Death…“, che supera addirittura i 17 minuti. E’il brano più ambizioso ma probabilmente il più bello mai composto dalla band nella sua per ora breve carriera. Un intro di tastiere prolungata e fluttuante ci porta in un sogno fantastico, maestoso nelle sue accelerazioni ed improvvisi rallentamenti, il tutto impreziosito da un grande assolo di chitarra e da delle tristissime trame sonore tastieristiche. La strumentale “Night’s Dew” ha il compito di chiudere il disco, e lo fa nel migliore dei modi: dopo una rarefatta introduzione di pianoforte, improvvisamente il brano sfocia in una cavalcata potente e malinconica, relativamente veloce se rapportata al resto del disco, ma sempre legata alla lentezza depressiva della musica della band. Non poteva finire meglio. Certamente l’album è molto prolisso e difficile da digerire per chiunque non sia un appassionato di questo genere. I testi sono ampiamente sgrammaticati, corti e non particolarmente profondi, ma si tratta di un difetto marginale, che poco o nulla toglie a questo grande lavoro. Cresceranno ancora, ne sono certo. Per ora possiamo solo abbandonarci alle tristi note di “Angels of Distress” per cercare di riconciliarci con la vita.
Tracklist: 1. Fallen 2. Angels of Distress 3. Quiet These Paintings Are 4. …To Live For My Death… 5. Night’s Dew