Recensione: angL
Quando sugli scaffali dei negozi comparvero per la prima volta dischi come ‘IX Equilibrium’ e ‘Prometheus – The Discipline Of Fire & Demise’, un coro di voci si levò per gridare al tradimento. Forse i tempi non erano ancora maturi, forse mai lo sarebbero stati per infrangere in quel modo i rigidi dogmi del black metal – e tuttavia oggi non sono pochi a guardare tali album con occhi nuovi, a riscoprirli e rivalutarli. Il tempo sembra aver dato ragione ai vari Samoth, Ihsahn e Trym, che pressarono in quei due CD una quantità di idee con cui altre band avrebbero riempito una discografia. E in un certo senso così è stato: il lato più estremo degli ultimi Emperor è stato infatti accolto e sviluppato proprio dagli Zyklon di Samoth e Trym. A Ihsahn è invece toccata in eredità la componente sperimentale, che dopo una lunga gestazione è infine stata messa a frutto nel 2006 dall’eccellente ‘The Adversary’.
Dove si era fermato ‘The Adversary’, ivi riparte ‘angL’.
Oggi, nel 2008, non è più possibile affermare che certe idee conservino il medesimo potenziale eversivo e innovativo che poteva esser loro riconosciuto otto o nove anni fa. Ciononostante, ascoltando un disco come ‘angL’, non si può che restare positivamente impressionati dal carisma, dall’eclettismo e dallo stile di una mente come Ihsahn. Fa piacere trovarsi nell’imbarazzo di non saper collocare un album cui anche l’etichetta “avantgarde” sta stretta, come fa piacere riconoscere alla scena odierna la capacità di produrre opere in cui a emergere è il carattere particolare di un artista, e non la grigia riproposizione di uno standard acquisito.
Ma non ci si spinga troppo oltre. Lo si è già detto, è bene ripeterlo: ‘angL’ non dice in sostanza nulla di nuovo. Non solo prosegue il discorso intrapreso da ‘The Adversary’, ma a ben guardare gli ingredienti di cui è composto sono tutti già noti. Gli echi dell’era-Prometheus risuonano chiaramente nella furiosa introduzione di ‘Malediction’ e in alcuni passaggi dei pezzi più tirati, come ‘Misanthrope’ o ‘Monolith’, dove lo screaming di Ihsahn si fa più acido e penetrante. Gli spazi concessi alla componente estrema sono piuttosto ridotti ma sempre incisivi, mentre maggiore enfasi è posta sul gusto progressive degli arrangiamenti – laddove l’attributo “progressive” è da intendersi nel senso più lato del termine. L’impronta degli intramontabili Mercyful Fate e King Diamond, già tributati ai tempi degli Emperor con la celebre cover di ‘Gypsy’, sale invece alla ribalta per quanto riguarda il riffing e gli acuti. Rispetto a ‘The Adversary’ emerge anche un lato più introspettivo, che in ‘Unhealer’ si avvicina di molto alla proposta degli Opeth più intimisti, complice la prova come al solito la prova sontuosa dell’ospite Michael Akerfeldt. Per inciso: da brividi il duetto fra le urla aspre e venefiche di Ihsahn e il growl abissale dello stesso Akerfeldt, tra i momenti più alti dell’intero full length.
In ogni nota emerge l’arma in più di ‘angL’, un’arma che potrebbe essere chiamata “stile” o “classe”, e che svetta in tutto il suo splendore su ciascuno dei nove brani inseriti in scaletta. Sotto tale luce, l’album può leggersi come una autentica prova di forza da parte di Ihsahn, che dimostra come sia possibile oggi liberare da ogni vincolo la propria creatività e suonare assolutamente attuali senza piegarsi alle forme di uno stile predefinito e soprattutto senza essere schiacciati dalla foga di apparire rivoluzionari a tutti i costi.
Chi dallo scaffale del negozio vorrà trarre il nuovo disco di Ihsahn sa che ad attenderlo troverà musica composta con gusto e suonata con maestria, ma soprattutto musica di carattere, eccezionalmente matura e a suo modo unica. A coloro che invece cercano un disco da fast-food basterà scostare lo sguardo un poco oltre, e certamente troveranno qualche bella confezione che faccia al caso loro.
Riccardo Angelini
Tracklist:
1. Misanthrope
2. Scarab
3. Unhealer
4. Emancipation
5. Malediction
6. Alchemist
7. Elevator
8. Threnody
9. Monolith