Recensione: Anhedonie
Gli Ataraxie sono uno dei più intransigenti alfieri della frangia più pesante e claustrofobica del death-doom; il loro primo album, The Other Path, pur piantando le proprie radici saldamente nel doom, poneva fortemente l’accento anche sulla componente death, dando origine ad un mix dalla potenza devastante e dalla qualità sopraffina. Il successivo Slow Transcending Agony rallentava notevolmente i tempi, riducendo drasticamente il numero delle sfuriate di stampo death metal, e avvicinandosi – a tratti – al funeral doom. Anhèdonie, l’ultimo arrivato in casa Ataraxie, prosegue sulla strada del precedente album, accentuando ancora maggiormente la componente funeral. Prima di analizzare ciò che quest’ultima loro fatica ha da offrirci, permettetemi una considerazione: c’era bisogno di orientare anche gli Ataraxie verso il funeral doom, se già i Funeralium, loro band cugina (hanno in comune il mastermind), sono dediti a tale genere?
Mettendo da parte le mie personali opinioni, c’è da dire, però, che gli Ataraxie riescono molto bene in quel che fanno, anche meglio dei Funeralium stessi. Come accennato in apertura, abbiamo a che fare con del death-doom dalle tinte funeral dalla pesantezza estrema, senza compromessi e rigorosamente privo di qualsiasi influenza gotica, che non lascia un attimo di respiro all’ascoltatore, ma lo avvolge perennemente fra le sue atmosfere oppressive e soffocanti. Sebbene i tempi siano generalmente molto lenti, la struttura delle canzoni è abbastanza varia: fra violentissime accelerazioni, intermezzi acustici, passaggi leggermente più melodici, e rallentamenti funerei, la varietà certa non manca ad Anhèdonie. Inoltre, se l’album riesce a tenere generalmente salda la presa sull’attenzione dell’ascoltatore, parte del merito va anche al variegato stile vocale, che annovera growls profondissimi, screams folli, urla lancinanti, e versi sussurrati.
L’album è composto da sole quattro canzoni (più l’intro iniziale), tutte molto lunghe: si va dai circa 13 minuti agli addirittura 24. La domanda sorge spontanea: saranno riusciti, gli Ataraxie, a fugare lo spettro della prolissità e della noia? Per gran parte la risposta è sì, ma Anhèdonie purtroppo non è esente da difetti. Le sue pecche vanno ricercate essenzialmente nell’eccessivo prolungarsi delle canzoni, che ogni tanto sono inficiate da tempi morti dove non succede granchè, oltre che da sezioni che si ripetono qualche volta di troppo. Come detto poc’anzi, la varietà musicale non manca, ma a volte nemmeno quella basta a riempire i vuoti.
Se ad ogni canzone fossero stati tagliati via una manciata di minuti, adesso non staremmo parlando solo di un buon disco death-doom, ma di un capolavoro. Purtroppo non è così, gli Ataraxie hanno voluto strafare, allungando a dismisura pezzi che, se fossero stati più compatti, sarebbero entrati negli annali del doom. Dispiace sinceramente che un platter così curato e dalla personalità così forte veda le proprie ali tarpate da scelte stilistiche così estreme; gli Ataraxie sono un gruppo dalle potenzialità incredibili, e già in passato ci hanno dimostrato sia con The Other Path, sia con Slow Trascending Agony, che il death-doom è materia che sono in grado di plasmare con grande maestria; dovrebbero solo non lasciarsi prendere troppo la mano, e imparare quando fermarsi. Preso così com’è, Ahnèdonie è un ottimo album, dalle numerose qualità e con un’identità molto spiccata; rimane solo l’amarezza per ciò che sarebbe potuto essere, ma non è stato.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – Origin (00:33)
2 – Silence of Death (17:10)
3 – Walking Through the Land of Falsity (13:48)
4 – Anhédonie (18:33)
5 – Avide de Sens (24:00)