Recensione: Anima
Anima è il terzo lavoro sulla lunga distanza per i friulani Tystnaden, autori dei precedenti Sham Of Perfection del 2006 e In Our Eye del 2008. Se il disco d’esordio vedeva la band alle prese con un melodic death metal di stampo svedese con marcatissime divagazioni melodiche e se il successivo lavoro, benché poco incisivo e focalizzato, si allontanava decisamente da qualunque connotazione estrema, il nuovo full length non fa che amplificare la distanza dagli elementi più classici e conservatori della nostra musica, attraverso quello che oramai si può considerare a tutti gli effetti female-fronted modern metal, particolarmente in voga nella Penisola attraverso act quali Macbeth, Ravenscry, Teodasia, Motherstone, Scarecrown e, ovviamente, Lacuna Coil. Sembra infatti che il mix di palm muting, atmosfere parzialmente sintetiche e il cantato melodico femminile sia oramai attecchito profondamente nel nostro Paese, tanto che, se non fosse per la distanza geografica più o meno rilevante e l’assenza di collaborazione tra le band, si potrebbe parlare di una vera e propria scena.
Al di là di queste considerazioni, come si accennava sopra, con Anima si ha a che fare con un metal certamente moderno, ben suonato, prodotto e confezionato. Al di là di un songwriting ispirato, come vedremo più avanti, quello che colpisce più di tutto è la capacità della band della bella e brava Laura De Luca di osare, pur senza, sia ben chiaro, dare vita ad un nuovo genere; osare proprio in quell’elemento che troppo spesso viene messo in secondo piano dai musicisti e che invece, come in questo caso, diventa il segno distintivo e sinonimo di qualità: stiamo parlando dell’arrangiamento, ossia di tutte quelle scelte armoniche e strumentali che danno colore e personalità ad una composizione musicale. Al di là delle caratteristiche intrinseche dei pezzi, nel presente lavoro l’ascoltatore viene catturato da tutta una serie di elementi che potrebbero sembrare solo di contorno e che, invece, prima colpiscono ed incuriosiscono “soltanto”, salvo poi diventare l’architrave qualitativo di ciascuna composizione.
Già l’opener Lust, canzone in pieno stile Tystnaden con il continuo confronto tra voce maschile e femminile, può essere un buon esempio in questo senso, con un finale tutto da sentire, dove alle due voci principali si affianca un coro classico davvero atipico, in un crescendo di pathos. E anche il pezzo scelto per presentare l’album Struggling At The Mirror (da cui è stato tratto un video), si caratterizza per scelte originali: inizialmente quasi indisponente nel suo refrain così atipico, rivela tutto il suo potenziale ascolto dopo ascolto, grazie all’alternarsi di parti vocali a volte nervose e insistenti, a volte dolci e pacate. Il tutto retto da ritmiche mai troppo lineari e da inserti di tastiera non eccessivamente invasivi, che danno quel tocco di modernità al pezzo; discorso simile per Days And Lies, altra traccia ricca di spunti interessanti e che merita un ascolto attento: moderna e tradizionale allo stesso tempo, a volte rabbiosa e a volte soave, trova i suoi momenti più particolari nell’inserto di chitarra acustica, nel coro di matrice gospel che affianca la De Luca nel chorus e nelle orchestrazioni sinfoniche che fanno capolino nell’ambizioso pezzo. E se una Father Mother ricalca un po’ troppo certe atmosfere à la Evanescence, War vede ancora un buon duello tra le due voci, con ritmiche variegate e stacchi che hanno la funzione di interrompere la routine (cosa che invece non succede, ad esempio, nella pur discreta Mindrama, che in questo si avvicina allo stile dei primi due album). Dopo l’immediatezza di The Life Before, ci si avvia verso la fine e in questo caso per il gran finale è Laura De Luca a conquistare prepotentemente la scena: prima, con Innerenemy, dove è la linea vocale a costituire l’architrave del pezzo (ma il contorno di tastiere svolge ancora una volta un lavoro egregio), poi con la conclusiva ballad The Journey: questa volta, al di là di influenze e citazioni, il pezzo è assolutamente riuscito e il merito è tutto della rossa cantante, che sfodera una prestazione sentita, sofferta, emozionale, rivelandosi un’ottima interprete oltre che una dotata vocalist.
Anima rappresenta certamente un buon ritorno per i Tystnaden. A conti fatti, sembra che la scelta di puntare su uno stile leggermente più ricercato abbia pagato: che sia stato un processo naturale, una scelta oppure semplicemente il risultato del maggiore tempo a disposizione nella fase di scrittura dei pezzi, poco importa. In un genere decisamente inflazionato come quello scelto dai Friulani, approfondimento e personalità sono la chiave per emergere e durare.
Vittorio “Vittorio” Cafiero
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