Recensione: Animal House
Al personaggio ed all’artista di Udo Dirkshneider è legata buona parte della storia dell’ Heavy Metal Europeo degli anni 80, e non solo.
Lo ricordiamo infatti come frontman degli Accept, band seminale dell’ Heavy di stampo teutonico, che non riscosse però, neanche lontanamente il successo che toccò a formazioni risalenti allo stesso periodo ( come Iron Maiden o Judas Priest ), sebbene onestamente lo meritasse almeno in pari misura: non foss’ altro per la copiosa quantità di grandi lavori ( fra i quali spicca il masterpiece assoluto: “Metal Heart” ), che non hanno certamente nulla da invidiare ai loro dirimpettai, anzi.
La nascita della band, che vedeva la luce con la sua formazione storica, ovvero con l’ormai famoso Udo alla voce,il chitarrista Wolf Hoffmann, Peter Baltes a pizzicare le corde del basso ed infine Stefan Kaufan dietro le pelli, lasciò passare davanti a sè un periodo di circa otto anni di apparente felicità ed armonia, culminato poi, nel 1987, nel repentino ed improvviso abbandono del nostro protagonista, in seguito a degli attriti venutisi a creare con l’altro leader della band, Hoffmann, che aveva intenzione di dare una decisa svolta al sound, scontrandosi
con le tradizionaliste idee del rigoroso vocalist, che da li a poco decise per l’abbandono. Svolta che effettivamente gli Accept ebbero, una volta lasciatasi alle spalle l’esperienza con Udo, e che portò anche alla pubblicazione, due anni più avanti, di un disco: il criticatissimo “Eat The Heat”.
Un aneddoto interessante, risalente proprio a questo periodo, e che è fondamentale per perfezionare
a conoscenza del lavoro che mi accingo a presentarvi, riguarda proprio la genesi stessa dell’ album.
Infatti, se le cose fossero filate lisce, senza litigi e contese, probabilmente “Animal House” sarebbe uscito come disco degli Accept, e non degli U.D.O., la band che nacque per l’appunto, dopo la dipartita di Dirkshneider.
Questo perché, prima che gli artisti ebbero a che dire fra di loro, il disco era già in fase avanzata di
preparazione e sarebbe dovuto uscire solo qualche mese più tardi, ma per gli ormai arcinoti motivi, ciò non fu possibile, quindi Udo decise di dare vita alle idee che gli erano state tanto contestate da Hoffmann, formando egli stesso una band, che come abbiamo detto qualche rigo più su, prese il nome di U.D.O.
La line up della nuova band constava di altri quattro membri, Udo escluso, che rispondevano ai nomi di Mathias Dieth ( chitarra ), Peter Szigeti ( chitarra ), Frank Rittel ( basso ) e Thomas Franke ( batteria ).
La opening track del disco ed omonima ad esso, è probabilmente, anzi sicuramente, la più spettacolare ed imprevedibile dell’ intero platter. Esordisce infatti in maniera quasi timida, divenendo però repentinamente l’espressione della tecnica e della potenza tradotte in Heavy Metal. Composta da melodie eccezionali, e da un refrain da brividi, “Animal House” si segnala anche e soprattutto per i grandissimi riffs di Dieth e Szigeti alle chitarre, che mostrano veramente di possedere una marcia in più in merito ad ispirazione e convinzione.
Dopo i quattro primi e diciotto secondi della title track, veniamo introdotti in un’ altro pezzo cult di questo disco, “Go Back to Hell”, che fa il suo ingresso nel lettore presentando un altro cervellotico riff, accompagnato da una eccelsa batteria dominata dal puntualissimo Franke. La voce di Udo, qui si modella in modo tale da sostenere il fluido incedere di questo pezzo, evitando impropri assoli o stancanti acuti, che sarebbero stati sicuramente fuori luogo, e che, ad essere schietti, mi è capitato a volte di ascoltare in pezzi simili, eseguiti però da altri. Questo brano è la concreta riprova, quindi, di grande sagacia ed intelligenza in possesso di Udo Dirkshneider.
Una volta superata la traccia numero due, veniamo immersi nel concentrato di Heavy Metal puro prodotto dal brano numero tre, “They Want War”, senza dubbio il miglior pezzo della tracklist in assoluto, sia a livello musicale, che di concept. Il particolarissimo testo di questa canzone infatti, riprende un tema scioccante che si pone innanzi ai nostri occhi anche ai giorni d’oggi, ovvero il problema della guerra, che imperversa nei paesi del Terzo Mondo e del Medio Oriente, si rimarrà addirittura estasiati dalla dovizia di particolari che Udo ha messo nello scrivere questo geniale brano, focalizzando l’attenzione su un tratto del testo dai toni molto pesanti, che si riferisce al crudele destino che tocca ai bambini che abbiano avuto la sfortuna di nascere da una famiglia proveniente da questi Paesi, costretti ad andare in guerra fin dall’ età di otto anni e – parole testuali del brano – morire come mosche imbracciando un fucile più grande di loro: tematiche che ovviamente, hanno portato ad una grande riflessione l’artista e che, io credo, dovrebbero condurre anche noi ad una profonda introspezione.
Inizialmente le note di questo pezzo vengono scandite da una marcetta quasi accennata da Udo, che personalmente ho interpretato come un volere tramutare in musica il sistematico incedere dei passi dei soldati al fronte. Questo preludia ad un ritornello insolito quanto bello. Udo infatti, supportato
da delle voci di bambini in background scandisce le parole: “They are blind and they can’t fight
They want war”, che ricreano e ricercano emozioni particolari nell’ ascoltatore, decisamente inusuali per questo genere di musica, ma che, come si sa, rappresentano la pregevole eccezione che conferma la regola.
La tenera voce di un bimbo inoltre, accompagnerà Udo anche nella parte finale del pezzo, addirittura concludendolo in assolo.
Dopo aver descritto i tre precedenti brani, la recensione potrebbe essere, in un certo senso, terminata, ma mi sembra assolutamente ingiusto e superficiale non accennare almeno qualcosa di qualcuno dei brani successivi, anche se giudicare uno qualsiasi di questi ultimi è per me come giudicare un pezzo di storia, in questo caso storia del Metallo, ma è sempre difficile ovviamente dire ciò che si pensa in maniera obiettiva su qualcosa che ha realmente modificato le sorti, musicali ovviamente, delle band a venire, come questo “Animal House”.
La song numero quattro “Black Widow” è l’essenza e l’apoteosi della ricerca della perfezione musicale, tradotta in potenza e velocità: ottimi riffs, parimenti al chorus, creano le basi per abituare
i nostri padiglioni auricolari ad un altro grandissimo frutto della passione per questa musica, che indubbiamente Udo possiede in maniera smisurata; di “In The Darkness” ovviamente si sta parlando. Lento dalle mille sfaccettature, prima riflessivo, poi esplosivo, veloce ma rilassato, compassato e ritmico allo stesso tempo, ricalca con precisione la grandissima ispirazione collettiva che ha accompagnato la band durante tutte le registrazioni di questo incredibile masterpiece.
I cinque brani successivi, in ordine di tracklist “Lay Down The Law”, “We Want It Loud”, “Hot Tonight”, “Warrior” e “Coming Home”, non fanno altro che suggellare quanto avevo detto prima riguardo a questo disco che, se mi consentite il paragone, vorrei mettere in relazione con un castello medioevale, conferendogli quindi la qualifica di “fortino impenetrabile dell’ Heavy Metal”; impossibile trovarvi un pertugio per riuscire a penetrare all’ interno, grazie alla rocciosa cinta muraria eretta da Udo ed dai suoi, che basa le sue fondamenta su solido, puro ed incontaminato Metallo Pesante.
Basta notare in particolare “We Want It Loud” , una canzone che conferisce un vigore ed una carica all’ ascoltare, che difficilmente si possono ritrovare in altri pezzi, marcando evidentemente le reali qualità di questo disco, che si attestano su livelli di indubbia eccellenza.
Il lavoro si conclude con una divertentissima marcia, “Run For Cover”, vera ciliegina sulla torta, ideale per fare da epilogo ad un disco di questo genere.
Personalmente, mi ritengo onorato di aver avuto la possibilità di dire la mia e soprattutto esporla agli altri, su un tale colosso della storia del Metallo, che indubbiamente annovera moltissimi dischi, ma solo pochi, ad essere sinceri, possono essere accostati alla definizione di capolavori nudi e crudi. Dischi insomma, senza pecche più o meno evidenti, capolavori che sono stati, sono e saranno amati anche negli anni a venire. Uno di questi è sicuramente “Animal House”, nato dal grande genio di Udo Dirkshneider che ha in questo caso, trasformato i sentimenti in musica.
Daniele “The Dark Alcatraz” Cecchini
TRACKLIST
1. Animal House
2. Go Back To Hell
3. They Want War
4. Black Widow
5. In The Darkness
6. Lay Down The Law
7. We Want It Loud
8. Hot Tonight
9. Warrior
10. Coming Home
11. Run For Cover