Recensione: Anomie (Instrumental Version)
Sono stanco,
vorrei dissolvermi nell’aurora boreale,
o sgretolarmi nel deserto australe.
Pochi mesi or sono usciva, autoprodotto, l’ultimo lavoro del geniale polistrumentista e vocalist azero Emin Guliyev, “Anomie”, mirabile e poetica esternazione di sentimenti dall’estensione sterminata.
Ora, la versione strumentale: “Anomie (Instrumental Version)”, appunto.
L’assenza della disperata interpretazione di Guliyev dà forza alla concentrazione per la sola musica. Che, per un’arcana magia, entra colmando sino all’orlo anima e cuore. Melodie celestiali, pure, elegiache, composte da chi possiede un animo dolce, sensibile, infinitamente profondo. L’energia della spettacolare unione fra black metal e shoegaze è completamente indirizzata a quello che sgorga e può sgorgare solo e soltanto dal loro figliol prodigo, il post-black.
“Anomie (Instrumental Version)” è un dono prezioso, da accettare senza indugio. Le canzoni di “Anomie”, spogliate dalla veste canora si trasfigurano in singoli capolavori, potenti nella loro volontà di accordarsi al movimento del Cosmo. Cosmo, universo, spazio. Forse l’Uomo arriva da lassù, e le trasognanti, straordinarie armonie cui sono pregni i brani del disco fungono da memoria astrale. Un tempo lontano, paragonabile a eoni su eoni, la specie umana era in pace con la Natura. Guidata dall’Amore per tutto ciò che la circondava. Poi, chissà, qualcosa si è incrinato, qualcosa ha rovinato l’accordatura dei sogni.
Così, i rapimenti che straziano la coscienza, i quali poi – come passione, intensità ed emozioni – sono quelli dell’Amore, hanno iniziato lentamente, inesorabilmente, perdersi nel vuoto. Gli Amori non corrisposti sono via via aumentati nello spazio e nel tempo, costringendo Guliyev, con il mirabile canto delle sue note, a trasformare la gioia più grande, la consapevolezza di un Amore ricambiato, nella sterminata tristezza di una solitudine che, beffarda, ha sempre un inizio ma mai una fine.
Allora, bisogna chiudere gli occhi e farsi trasportare da insuperabili vette di lirismo musicale (‘My Journey to Your Space (Instrumental Version’). Trasportare dove? Non verso mete sconosciute, ma in quella più difficile da raggiungere: il cuore dell’Amore. Un viaggio malinconico, sconsolato, solitario, perché l’Amore Infinito, l’Amore per Sempre, può esistere solo quando i rapimenti sono reciproci. Altrimenti, è straziante sofferenza, devastante dolore. E, i sentimenti, non sono mai reciproci. O quasi mai.
I brani di “Anomie (Instrumental Version)” provano a spezzare questo malefico incanto con leggere pioggerelle di speranza (‘Lovegaze (Instrumental Version)’), le cui microscopiche gocce trasportano spicchi infinitesimali di gioia. Illusione. Terribile. Annichilente. ‘Violet Girl (Instrumental Version)’ è un altro capolavoro che infrange in mille pezzi questa fiduciosa aspettativa.
La realtà della vita, così inesplicabilmente matrigna, è spietata come un carnefice. Con fare quasi ossessivo cerca sogni, fantasticherie, aspettative, attese, per raderli al suolo, cercando di far più male possibile. Cercando di frantumarli con malcelata soddisfazione. Guliyev non può che prendere atto, sotto i cieli incredibilmente stellati della sua terra natia, di questa feroce, implacabile ineluttabilità: nel percorso dall’utero alla bara, il cuore offre tutto il suo spazio possibile. Il terribile decadimento umorale della ridetta ‘Violet Girl (Instrumental Version)’, mostra con semplice immediatezza melodica che questo spazio, quello nel cuore, a mano a mano che passano gli anni si riempirà solo e soltanto di commoventi patemi. L’empatia dell’Opera Magna che, come una calamita, attira a sé i cuori più puri, quelli che scoppiano di Amore – Amore da dare, Amore da ricevere – , ottenendo indietro soltanto delusioni e tradimenti; è null’altro che quel male di vivere che solo un capolavoro totale come “Anomie (Instrumental Version)” riesce a disegnare in ogni aspetto emotivo.
L’Era dei rapimenti è nata con l’Uomo e con lui vive e vivrà sino alla fine. L’Era dell’Amore, semmai sia mai esistita, ora non c’è più. C’è solo l’Era della Solitudine, adesso.
Incredibile, davvero, come un’opera d’arte astratta come “Anomie (Instrumental Version)” riesca a innescare visioni nitide, complesse, multiformi, anche se irrimediabilmente soffocate dalla malinconia e dal desiderio di non esistere.
È per questo, in fondo, che “Anomie (Instrumental Version)”, esattamente come “Anomie”, sia un capolavoro da mettere gelosamente da parte per poi riprenderlo quando, inevitabilmente, con l’inutile trascorrere del tempo, ci si dimentica dell’inutilità dell’esistenza, quando, solitari, si orfani dell’Amore.
Daniele “dani66” D’Adamo