Recensione: Another State Of Grace
“Another State Of Grace” è un vero toccasana. I Black Star Riders sono tornati con un nuovo album, una nuova formazione e quella che il frontman Ricky Warwick chiama “una nuova energia e chimica“.
Nei sette anni trascorsi da quando Warwick e il leggendario chitarrista Scott Gorham hanno dato vita alla versione moderna dei Thin Lizzy non è mai venuta meno la capacità della band di distillare l’hard rock al suo stato elementare, con raffinatezza nella scrittura, un suono anthemico ad alta energia fatto di grandi canzoni. Due i nuovi membri della band che fanno il loro debutto in questo album. Si tratta di musicisti affermati come il chitarrista degli Stone Sour Christian Martucci e il batterista Chad Szeliga, in precedenza con i Black Label Society. Ma il risultato finale non cambia.
Un toccasana.
Già dall’iniziale ‘Tonight The Moonlight Let Me Down’ ci si riappacifica con il buon rock dal sapore anni ‘70 con quell’andamento tipicamente Thin Lizzy. Se avete problemi a digerire certe band cervellotiche dalle lunghe attese prima di partorire una qualsiasi canzone degna di questo nome, iniziate da qui. C’è anche l’assolo di sax. È un rock dal sapore poetico, ma stradaiolo, elegiaco, e il ritornello è stuzzicante come si conviene.
Il gusto irish esplode con la titletrack, basta ascoltare l’incipit folkeggiante, e poi la strofa con quel tono da narratore romantico prima di finire travolti da un altro ritornello da anthem. La voce di Ricky Warwick porta chiaramente avanti l’eredità di Phil Lynott con il suo gusto pastoso, e il vecchio bucaniere Gorham, tra le twin guitars, ci mette il suo in sede di assolo.
I clap-clap che accompagnato i riff, quanta bellezza!
‘Ain’t The End Of The World’ è allegra, mette di buon umore, dal vivo trascinerà. Altro refrain che colpisce l’ascolto. Ma la band sa anche ruggire, come dimostra il riff grintoso di ‘Underneath The Afterglow’, verace e hard, con contorno di hammond, e dagli di cori e ritornello avvincente.
Non c’è alcun calo nei solchi dell’album, l’ispirazione è sempre viva, e la compattezza della band rende il risultato organico. Si torna ad ascoltare il rock viscerale, la produzione non snatura l’energia e l’aspetto “live” che trasuda adrenalina.
Sentitevi ‘Soldier In The Ghetto’. Bel tocco funk, e siamo nelle strade di Belfast.
Come paroliere, Warwick ha approfondito il personale e il politico in questo album, combinando entrambi nella canzone di protesta ‘Why Do You Love Your Guns’, scritta all’indomani della strage nella scuola elementare Sandy Hook a Newtown, nel Connecticut, il 14 dicembre 2012, in cui 26 persone, tra cui 20 bambini tra i sei e i sette anni sono stati uccisi. Il problema delle armi vendute come fossero biscotti… Il ritornello è struggente, davvero una ballad efficace.
Va segnalata ‘What Will It Take’, in cui Warwick condivide la voce principale con Pearl Aday, figlia della leggenda del rock Meat Loaf, in un pezzo quasi in stile Tom Petty, semi-acustico, e la di lei voce interviene dando un tocco country in più.
“Another State Of Grace” dicevamo è un toccasana. Un album che va ascoltato dall’inizio alla fine, gustoso e avvolgente, di sicuro tra le migliori uscite hard rock dell’anno. La chiosa con ‘Poisoned Heart’ dice tutto su una band che porta avanti una tradizione rischiosa per certi versi, ma lo fa con onore, classe, ispirazione, risultando fresca e onesta.
Indomiti.
Simone Volponi